
Uno spettacolo sull’emarginazione e diseguaglianze sociali ancora più evidenti nelle grandi città, e qui il richiamo a Milano è forte, sono i temi scelti da Antonio Latella e Federico Bellini per il loro nuovo spettacolo presente in questi giorni e fino al 16 febbraio al Piccolo Teatro Grassi. Un argomento crudo rappresentato in chiave pop che si svolge in un’insolita messa in scena dai colori sgargianti e dalle forti luci che invadono anche la platea e che si avvale di quattro attori, interpreti di figure distanti tra loro solo all’apparenza. Sono il povero, che per la sua condizione è anche la figura centrale, il poliziotto, il muto e il cavallo.
I quattro indossano abiti variopinti e agiscono su un palcoscenico occupato solo da una cabina per foto-tessere, che, con la sua funzione di fissare su carta l’immagine umana, ne limita la libertà espressiva e, nello stesso tempo, è luogo di fuga utilizzato dai personaggi per entrare e uscire dalla scena. Altro elemento è un cactus, semovente e parlante nel momento in cui viene definito carciofo, indicante con la sua presenza il luogo dell’azione che è quello del deserto californiano confermato anche dagli abiti indossati da uno dei personaggi richiamante la figura di Elvis Presley nell’anno in cui a Las Vegas tenne un concerto della durata di un mese. E a fungere anche vocalmente da Elvis è uno dei quattro attori, Isacco Venturini, bravissimo cantante e chitarrista, che in più momenti si esibisce sul proscenio.
I primi personaggi ad aprire la discussione sono il povero e il poliziotto in un dibattito surreale in cui il disquisire sui pronomi personali non permette una comunicazione costruttiva. A fronte dell’ignoranza del poliziotto imprigionato nella sua divisa difensiva si contrappone il povero che si esprime con il linguaggio forbito della persona colta. E qui si entra nel vivo della rappresentazione dove i quattro effettuano continui spostamenti dal palcoscenico alla sala raggiunta attraverso un’uscita nascosta nella cabina foto-tessera. L’entrata in scena avviene spesso anche tramite una buca del parterre assimilabile a un tombino di accesso alle fognature da cui esce fumo e i cui presunti liquami simbolizzano rifiuti umani della società. C’è il povero divenuto tale perché emarginato da una comunità avida nel suo utilitarismo privo di probità (e nel secondo tempo viene raccontata come esempio una desolante tranche de vie) e c’è quello che in un anelito di libertà sceglie di esserlo per uscire dagli schemi costrittivi di un vivere omologante. É un povero che la società classifica secondo convenzioni precostituite dalle quali lui ha deciso di fuggire e lo ha fatto con fierezza perché non è il denaro ciò che conta veramente: “La tasca del giubbotto, del cappotto, è vuota, il taschino della camicia è vuoto, la tasca del cervello è piena e questa non me la svuota nessuno”. E per dimostrare la raggiunta libertà compie anche il gesto provocatorio di denudarsi (anche realmente) mostrando con orgoglio il pene. L’azione sarà più tardi motivo di protesta da parte del poliziotto che inveirà contro gli atti di quei ricchi che, colti da ascetismo, rinunciano ai loro beni: “i ricchi facciano i ricchi!” e questa è per lui una convenzione inderogabile.
Quattro personaggi che sono presi a simbolo di nuovi eroi: il povero è un emarginato, costretto nel suo ruolo, gli altri tre sono schiavi a causa della propria natura e/o delle convenzioni che non li rendono liberi: il poliziotto è intrappolato dalla sua divisa, il muto dalla mancanza della parola, il cavallo che potrebbe essere realmente libero è in realtà costretto a dover sostenere sella e finimenti. C’è una parola magica, “segno”, che introduce una canzone o anche un ballo sulle note di “I Will Survive”, a determinare da parte degli attori lo scambio dei ruoli a dimostrazione del fatto che questi sono intercambiali e si muovono in una sorta di quadriglia, danza in cui a turno si scambiano le posizioni. Il tutto attraversando diversi generi di teatro quali il surreale, l’ironico, il grottesco, l’umoristico, il satirico e anche il drammatico con la sua venatura farsesca (perché in ogni dramma, specchio di vita, è sempre presente una punta di comicità) e c’è anche il metateatro quando il povero scende in platea e cerca tra il pubblico i supereroi quali Mandrake, Spider-Man, Wonder Woman mentre la satira si allarga alle condizioni del teatro di oggi (è inutile aspettare l’arrivo in scena di Godot perché a causa della mancanza di fondi non può permettersi la spesa necessaria per ingaggiarlo). Tanti ancora sono i momenti in cui lo spettacolo va evolvendosi in tre ore comprensive di intervallo e tutti densi di significati che lo spettatore attento sa cogliere.

Alla fine sopraggiunge un personaggio nuovo: è lo Zanni della commedia dell’arte, vestito come Arlecchino, ma, cattivo presagio, i rombi che disegnano il suo abito non sono colorati bensì graduati nelle tonalità tra il nero e il grigio e, come Arlecchino, colto da fame, mangerà la mosca che fino a quel momento ronzava per la sala. La sua voce elenca una serie di parole alle quali aggiunge sempre la lettera “z”. É questo il momento in cui lo spettacolo, dopo i diversi momenti più esilaranti e ironici sparsi nel corso del suo svolgimento, diventa più marcatamente denuncia.
I quattro poliedrici attori Michele Andrei, Paolo Giovannucci, Stefano Laguni e Isacco Venturini si muovono senza risparmiarsi in una partitura perfetta di circa tre ore densa di significato. La ricca scenografia di Annelisa Zaccheria arricchita dalle luci luminosissime, anche stroboscopiche in alcuni punti, e dai coloratissimi colori di Simona D’Amico, completano una rappresentazione che per il tema e per come è stata messa in scena fa onore a Antonio Latella e Federico Bellini.
Al termine calorosi e prolungati applausi hanno accolto gli attori chiamati sul proscenio. Repliche fino al 16 febbraio. In calce le INFO con i crediti e le modalità per l’acquisto biglietti.
Visto il giorno 30 gennaio 2025
(Carlo Tomeo)
Piccolo Teatro di Milano
Zorro
di Antonio Latella e Federico Bellini – regia Antonio Latella – scene Annelisa Zaccheria – costumi e simboli personaggi Simona D’Amico – suono Franco Visioli – luci Simone De Angelis –
movimenti coreografici Alessio Maria Romano – assistente alla regia Paolo Costantini – con Michele Andrei, Paolo Giovannucci, Stefano Laguni, Isacco Venturini – produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa – foto Masiar Pasquali – Lo spettacolo prevede l’uso di luci stroboscopiche e scene di nudo.
Piccolo Teatro Grassi, via Rovello,2 – orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19,30: mercoledì e venerdì ore 20,30; domenica: ore 16. Lunedì riposo.
Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro – informazioni e prenotazioni 02.21126116 – http://www.piccoloteatro.org

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