
14 > 26 marzo | sala Shakespeare
La morte e la fanciulla
di Ariel Dorfman, traduzione Alessandra Serra
regia Elio De Capitani
con Marina Sorrenti, Claudio Di Palma, Enzo Curcurù
scene Carlo Sala
luci Nando Frigerio
produzione Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro dell’Elfo
Scritto nel 1991, il testo di Ariel Dorfman è stato tradotto e portato sulle scene in tanti paesi d’Europa e d’America per approdare infine sugli schermi cinematografici ad opera di Roman Polanski nel ‘95.
Nel 1998 Elio De Capitani lo aveva messo in scena per il Teatro dell’Elfo, con Cristina Crippa protagonista. Nel 2021 ha voluto riallestirlo al Campania Teatro Festival affidandolo a Marina Sorrenti (Paulina), Enzo Curcurù (Gerardo) e Claudio di Palma (Miranda). Questa nuova edizione approda ora sul palco dell’Elfo Puccini, significativamente riproposto a cinquant’anni dal colpo di stato in Cile che nel settembre 1973 rovesciò il governo democraticamente eletto del Presidente Salvador Allende.
Un paese che ha appena raggiunto una fragile democrazia. Un avvocato, Gerardo Escobar, appena nominato a presiedere una commissione di indagine sui desaparecidos. Una donna, sua moglie Paulina Salas, ancora segnata dalle torture subite durante la dittatura.
Una notte Gerardo ritarda, ha forato una gomma, fortunatamente uno sconosciuto si ferma e lo accompagna a casa. Ascoltando la voce del cortese dottor Miranda, Paulina crede di riconoscere il medico che l’ha torturata e stuprata sulle note di un quartetto di Schubert – La morte e la fanciulla – durante la prigionia. Lo sequestra, vuole una confessione. Perché per sopportare la violenza della memoria, Paulina deve sperare in una liberazione, che solo la parola del suo torturatore potrebbe darle. Perché l’angoscia del sopravvissuto è nel non poter dimenticare, ma anche nel vedere che gli altri dimenticano, rimuovono, non credono o non ascoltano più, come se si trattasse di un privato incubo notturno. L’interrogatorio di Paulina dà luogo a un rovesciamento dei ruoli di vittima e di carnefice. L’uomo subisce un processo sotto gli occhi del marito, chiamato a svolgere il ruolo di avvocato difensore e convinto all’inizio che, se la confessione sarà estorta, la verità continuerà a essere inafferrabile. Ma convinto anche che quel sequestro e quel giudizio sommario, celebrato in casa sua, screditeranno il lavoro della commissione che presiede, frenando forse irrimediabilmente la ricerca della verità. Sotto i suoi occhi, però, si andrà formando pian piano la consapevolezza, insostenibile, di quello che sua moglie ha subito per non aver mai rivelato il suo nome sotto tortura, permettendo a lui di salvarsi.
Dalla rassegna stampa
«Un’opera stratificata e dotata di conflitti, di abrasioni, di choc postumi e di chiavi di lettura innaturali e irrazionali non ha, con le fattezze del lavoro di Dorfman, la presunzione di porsi a stregua di docu-teatro. Ha invece, e conserva (ma con restituzioni di senso diverse di decennio in decennio) l’alto merito di proporsi come dramma di una crisi, intesa come crisi dei singoli, dei cittadini, dei sessi, del vivere comunitario, del pensiero e degli atti della giustizia. E quindi, significativamente, capisco perché la sua problematicità abbia aperto il programma del Campania Teatro Festival, intendo meglio perché di questo testo-rebus, senza risposte sia tornato a occuparsi il regista Elio De Capitani col suo Teatro dell’Elfo». (Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica)
«La regia di De Capitani – che dirige attori precisi e solidi come Marina Sorrenti, Claudio Di Palma, Enzo Curcurù – sa trarre da pochi elementi una visione sicura; un’attesa inquieta fascia invisibile anche i dialoghi in apparenza più leggeri e brillanti, mentre gli abiti bianchi o sabbia permettono alle luci di cadenzare l’atmosfera, dal calore delle parole veementi al ghiaccio delle parole più crude. La messa in scena fotografa con chiarezza quell’insieme di paura e desiderio, la forza schiacciante di un passato con i suoi strascichi unita alla forza propulsiva verso un futuro che, forse, vi si allontana; la cura dello spazio non è che la ricerca dell’ambiente migliore perché la relazione tra gli attori possa esprimere questo duplice sentimento, attraverso da un lato l’asciuttezza della parola e dall’altro la viscosità di emozioni in contrasto, esplicitate da una sequenza di eventi astringente, che pone interrogativi via via sempre più urgenti. Quando Dorfman scrive il testo, ci troviamo negli anni centrali di un dibattito che potesse dirsi finalmente pulito dalla rimozione (…). È già il tempo non solo di affrontare la dittatura, i dettagli di un abuso di potere feroce, ma anche tutto quel che resta, il rapporto cioè tra giustizia e vendetta, o meglio ancora, riferendo a un concetto politico un sentimento umano, tra rancore e democrazia. L’autore esplicita l’interrogativo perenne di un intrigo senza soluzione nell’animo umano: il legame tra vittima e carnefice, che ha come colonna sonora l’omonimo quartetto di Schubert ascoltato dalla donna durante la prigionia, corrompe la verità che diviene impossibile, intrisa di una memoria fallace, confusa ma che la sofferenza rende così profonda e incancellabile.». (Simone Nebbia, teatroecritica.net)
TEATRO ELFO PUCCINI, corso Buenos Aires 33, Milano – Mart/sab. ore 20.30; dom. ore 16.00 – Prezzi: intero € 34 / <25 anni >65 anni € 18 / online da € 16,50 – Durata: 1 ora 50 – Biglietteria: tel. 02.0066.0606 – biglietteria@elfo.org – whatsapp 333.20.49021