
RECENSIONE:
Il tinello di un’appartamento di un blocco di case dell’Aler, l’azienda milanese che assegna le case popolari alle persone meno abbienti: 48 metri quadri in zona Lorenteggio. È lì che abita Adriana dal 1958, tanto che questo le può far dire che è una vita che “sta lì” e da allora, all’età attuale di ottant’anni, ne ha vista passare di acqua sotto i ponti. E quell’acqua è stata spesso turbolenta ma a volte anche limpida e apportatrice di momenti felici. Perché la vita, per tutti, non assume mai un colore unico, e per Adriana gli alti e bassi si sono avvicendati anche se questi ultimi, all’età che lei ha adesso, hanno la prevalenza, tanto che le fanno temere la scalata verso l’Alzheimer che potrebbe raggiungere la cima, dalla quale poi non si torna più indietro. Ma Adriana in realtà è ben lontana da questa malattia e non ne ricorrono neppure i sintomi. L’angoscia sì, quella la pervade perché ha ricevuto una lettera in cui l’Aler le comunica che, dovendo riqualificare il quartiere, tutti gli inquilini dovranno lasciare le abitazioni per trasferirsi momentaneamente in provincia, a Lainate. Un trasferimento che, considerata la sua età, lei teme possa essere definitivo. Si chiede dov’è questa Lainate. Per lei potrebbe essere l’America o l’Africa. Ha cercato di opporsi a questo provvedimento perché è una combattiva e insieme a lei lo hanno fatto le altre persone che si trovavano nelle stesse condizioni ma poi queste si sono arrese e hanno lasciato le loro abitazioni. Ora, a occupare gli ultimi appartamenti, sono rimasti solo lei e pochi “negher” che fanno gran casino con le loro musiche a tutte le ore. Intanto comincia a preparare le cose da portar via infilandole in grossi scatoloni che ingombrano il pavimento. E ogni cosa che prende tra le mani le riporta alla mente episodi del passato. Un vestito turchese da adolescente le fa venire in mente i suoi quindici anni, quando aveva un vitino sottile e un bel fisico tanto da poter cantare adesso una popolare canzone milanese “quand s’eri giuvina, s’eri un belé” e aveva per corteggiatore Sergio con il quale fece per la prima volta l’amore. E da questo momento continua a ricordare la sua vita che è anche quella di quasi un secolo di storia milanese. Lo fa ad alta voce come succede alle persone che vivono da sole che si rivolgono a un pubblico immaginario. Ricorda i bombardamenti dell’ultima guerra quando fu distrutto il Teatro alla Scala e rivede nella memoria la grande festa che fu fatta quando si inaugurò l’avvenuta ricostruzione del teatro con il concerto diretto da Toscanini e con la partecipazione dell’allora venticinquenne Renata Tebaldi, la cantante preferita da suo padre. Il concerto venne diffuso con gli altoparlanti nella Galleria e in Piazza Duomo e tutti poterono goderne. Momenti belli ai quali seguirono quelli meno belli dopo la morte del padre e la depressione della madre. Anni di storia con la quale bisognava fare i conti: il boom, l’arrivo a Milano delle persone del Sud Italia chiamati “terroni” che erano chiassosi ma generosi, il sessantotto, gli anni di piombo, la restaurazione. I ricordi si susseguono e la sua voce e il suo volto assumono i colori delle vicende che vengono a galla, quelle più nostalgiche, per il tempo in cui sono durate, sono le più effimere, quasi passaggi di “saudade”. Poi ci sono le strazianti e più di ogni altra è quella che si presenta nel momento in cui si trova tra le mani il vestitino di suo figlio che aveva conservato e che sta per racchiudere in uno degli scatoloni: il figlio che è stato vittima di una società distorta. Ed è qui che l’impotenza di un cuore spezzato le farà lanciare, contro un’umanità crudele, l’urlo finale di “Assassini”.
Grande momento di teatro questo monologo in cui Ivana Monti dà l’ennesima prova della sua enorme capacità di attrice riuscendo a coinvolgere l’emotività di un pubblico catturato da ogni sua parola. Il linguaggio e le vicende narrate riescono a penetrare non solo nell’animo ma anche nelle ossa dell’ascoltatore quasi fossero frustate inferte per meglio fargliene cogliere il significato. I momenti comici, e ci sono perché non c’è dramma che non abbia un risvolto di tal tipo, si alternano a quelli più dolorosi in un’amalgama perfetta. L’insieme di queste due componenti costituisce l’essenza e l’originalità dell’opera che dura solo un’ora ma che potrebbe durare anche di più tanto sa tenere desta l’attenzione degli spettatori che hanno applaudito a lungo.
Sono previste due sole repliche: una questa sera e l’altra domani pomeriggio. Il suggerimento è quello di correre ad ammirare questo capolavoro che ha la capacità di lasciare il segno a chi verrà concessa la fortuna di vederlo.
Visto il giorno 27 gennaio 2023
(Carlo Tomeo)
Ivana Monti in
UNA VITA CHE STO QUI
di Roberta Skerl
regia Giampiero Rappa | scene Laura Benzi | luci Marco Laudando | assistenti alla regia Maria Federica Bianchi e Beatrice Cazzaro | montaggio video Alberto Basaluzzo |
produzione Teatro Franco Parenti
Sabato 28 ore 20 e domenica 29 gennaio 2023 – ore 16
al Teatro Gerolamo Piazza Cesare Beccaria 8 – 20122 Milano
durata spettacolo: 60 minuti
ORARI: sabato ore 20–domenica ore 16
PREZZI: da 10 € a 25 €
INFORMAZIONI e PRENOTAZIONI uffici: 02.36590120 / 122 | biglietteria 02 45388221 biglietteria@teatrogerolamo.it – info@teatrogerolamo.it – www.teatrogerolamo.it
Milano in milanese, pagine di storia dall’interno della vita quotidiana di una donna, figlia, moglie, madre e lavoratrice. Un racconta che diventa confessione dalle parole che a volte fanno sorridere ma quasi sempre toccano l’anima. Una Ivana Monti bravissima? …direi di più egregia, impareggiabile. Sarei rimasta ad ascoltarla per ore ancora. Questo spettacolo è stato un grande regalo!
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Concordo pienamente. E’ uno spettacolo che, vista la sua bellezza, va visto più volte!
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