“Hybris” al Teatro Elfo/Puccini, sala Shakespeare – Recensione

RECENSIONE:

L’ambiente è costituito da un’unica scena vuota occupata solo da una porta fornita di ruote utili a spostarla in continuazione per il lungo e il largo del palcoscenico. A sinistra, sul fondo, un attrezzo ginnico per sviluppare gli addominali e utilizzato da vari personaggi e, sempre sulla sinistra, in prossimità del proscenio, una poltrona rimovibile dove siede l’attrice che interpreta il ruolo della madre del protagonista. All’inizio Rezza è disteso supino in una bara, bisbiglia brevi accenti che, mentre si solleva, si trasformano pian piano in frasi, prima incomprensibili e poi più chiare. Quindi, dal momento in cui è in piedi, acquista piena vitalità e inizia a percorrere tutto il palcoscenico pronunciando nonsense, quasi proclami indirizzati ai personaggi presenti che diventeranno sue vittime. Metafora di una nascita ma anche, visto il significato teologico della parola che dà il titolo allo spettacolo, di una rinascita in un mondo dove si è già vissuti, dato che l’attore fa riferimento a una morte che sarebbe dovuta durare tre giorni e che poi si è rivelata essere di soli due. Accanto a lui, a fare da coprotagonista è proprio la porta che, per buona parte della mise en scene è spostata in continuazione con l’anta che viene aperta per fare entrare un pensiero, esplicitato ad alta voce, e, subito dopo, chiusa con violenza quasi a voler mettere un punto alla frase appena pronunciata. Aldilà della porta ci sono gli altri personaggi che vengono di volta in volta fatti entrare, quando bussano da un immaginario fuori, e fatti uscire, quando si trovano in un interno, accolti benevolmente o ricacciati indietro, o anche usata dallo stesso Rezza nel suo andirivieni. Porta che serve anche per penetrare un luogo interno che diverse volte viene dichiarato piccolo, come quello della casa della madre seduta sulla poltrona e che, proprio per questo, è maggiormente protettivo, quasi a voler significare il ventre di una donna in stato di gravidanza, con Rezza che simula con lei un rapporto sessuale. Porta che assume anche la funzione di un metal detector che l’attore, ogni volta che l’attraversa, rende funzionante con un suono da lui emesso vocalmente: una tra le diverse scene clou dove egli, per cercare su di sé qual è l’indumento da lui indossato che mette in azione l’apparecchiatura, si vede costretto, senza smettere i suoi monologhi, a improvvisare uno spogliarello fino a restare del tutto nudo con un solo calzino al piede, rivelantesi vera causa della suoneria.

Antonio Rezza si presenta in tuta multicolorata, arlecchino moderno, guizzante e instancabile sulla scena, dicitore di calembour e frasi surreali portatrici di doppi sensi che esprimono intelligenti pensieri rivelatori della povertà morale e del cinismo dei nostri anni. Frasi rivelatrici come “l’eutanasia è la povertà dei poveri”, “Fatti abbracciare, così non ti vedo”, “Dei giovani quello che mi addolora è il non poter vederli morire”, “Ci mettiamo una pietra sopra” (dove per pietra s’intende una lapide). Le sue non sono solo espressioni lanciate a un pubblico che le accoglie con ilarità, applaudendo a quelle più sagaci, ma diventano prediche. Sono litanie che si fanno sempre più convulse e paradossi linguistici (“Sono in analisi. Per ora solo grammaticale. La settimana prossima affronterò quella logica”), esplicitati con un linguaggio che non teme di essere scurrile, irriverente, boccaccesco, rocambolesco, fino a essere dissacrante. Particolarmente esilarante è la scena, ripetuta più volte, dell’ABC dei convenevoli, dove avvengono le presentazioni del parentado del protagonista e di quello della sua fidanzata, realizzate con strette di mano reiterate in modo sempre più convulso fino al punto di esasperare i personaggi, metafora, questa, del malessere che investe i rapporti interpersonali di oggi e, in particolare, denuncia del falso perbenismo che alberga nelle famiglie e dell’ipocrisia nei rapporti sentimentali. Ma l’ennesima e più eclatante abilità del performer è messa in luce nella scena in cui comunica attraverso il suono di un fischietto che egli sa suonare con un singolare dispiego dalle molteplici tonalità.

Il duo RezzaMastrella, partendo dal topos della tragedia greca, ha costruito uno spettacolo che apparentemente non ha come base un vero e proprio filo conduttore ma che potrebbe essere un contenitore di gags basate da giochi di parole e frasi surreali nelle quali l’attore è maestro. In realtà il filo conduttore è proprio l’attore stesso che domina, instancabilmente, tutta la scena senza alcuna soluzione di continuità, vero mattatore che si erge sugli altri sei attori, più una settima persona scelta tra il pubblico, tutti al suo comando. Gli scroscianti, ripetuti applausi di un pubblico entusiasta hanno fatto da sigillo allo spettacolo che, per la sua unicità, merita di essere visto. In scena fino a domenica, 27 novembre.

Visto il giorno 22 novembre 2022

(Carlo Tomeo)

Teatro Elfo/Puccini | sala Shakespeare

15>27 novembre

Hybris

di Flavia Mastrella Antonio Rezza

(mai) scritto da Antonio Rezza

con Antonio Rezza

e con Ivan Bellavista, Enzo Di Norscia, Manolo Muoio, Chiara Perrini

Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli

habitat Flavia Mastrella

assistente alla creazione Massimo Camilli, disegno luci Daria Grispino

foto di Annalisa Gonnella

produzione Rezza Mastrella, Cooperativa La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro di Sardegna

TEATRO ELFO PUCCINI, corso Buenos Aires 33, Milano – Mart/sab. ore 20.30; dom. ore 16.00 Prezzi: intero € 34 / <25 anni >65 anni € 18 / online da € 16,50 – Durata: 1h 45  – Biglietteria: tel. 02.0066.0606 – biglietteria@elfo.org – whatsapp 333.20.49021

Categorie RECENSIONI

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