Lella Costa in “Otello. Di precise parole si vive” al Teatro Carcano – Recensione

Accadeva tanti anni fa. C’erano pochi spettatori a vederla, prevalentemente giovani, in quel piccolo teatro milanese arrivati lì casualmente e/o perché suoi amici e che alla fine del monologo applaudirono convinti e ripetutamente. Io stesso ci ero capitato per caso e rimasi folgorato. Lei era giovanissima ma sembrava già avere un’esperienza attoriale acquisita da tempo, in realtà era semplicemente dotata di quel talento innato che oltrepassa la quarta parete. Difficilmente mi lascio conquistare alla prima recita da un attrice/attore emergente, quando mi capita significa che quel personaggio è destinato a fare una brillante e invidiabile carriera. E questo non per darmi il merito di essere dotato di particolare fiuto in materia, ma solo per attestare che, se una persona del mondo dello spettacolo è destinata a raggiungere il successo, è grazie alle sue singolari capacità che emergono fin dalle prime esperienze recitative, sicuramente frutto di studio e di lavoro intenso su se stessa, ma anche di intrinseche attitudini in materia. La ritrovai qualche settimana dopo in un festival estivo mentre montava da sola la piccola scena dove avrebbe recitato il suo monologo e, superando la mia timidezza, che peraltro è tuttora un mio problema, l’avvicinai per farle i complimenti. Lei ne fu lieta e mi ringraziò. Quell’artista era Lella Costa. Da allora l’ho sempre seguita, praticamente l’ho vista crescere artisticamente.

Tutto questo è solo un’introduzione alla recensione del suo ultimo spettacolo, cui ho assistito la settimana scorsa, e di cui ora sto scrivendo. “Otello. Di precise parole si vive” è il titolo. Tecnicamente è un monologo ma in realtà è così articolato, fatto di tanti personaggi, tutti interpretati da lei, da poter essere considerato a buon diritto una pièce a tutto tondo. Non è una novità assoluta perché è la riproposta, però riveduta e arricchita anche scenograficamente, di un testo scritto da lei con Gabriele Vacis circa ventiquattro anni fa. Allora si intitolava “Precise parole” e raccontava la storia del famoso personaggio shakespeariano scritta oltre quattrocento anni prima e Lella Costa ne giustifica la ripresa sostenendo che “non ha senso fare sempre e solo le novità quando si hanno in repertorio spettacoli che hanno una loro forza e soprattutto che prescindono dall’attualità del momento e hanno una contemporaneità in gran parte grazie a Shakespeare e anche, perché no?, quanti Otello vengono messi in scena ogni stagione e allora ci può stare anche questo che per di più ha una caratteristica ed è quella di fare insieme l’esegesi della mimesi, di essere contemporaneamente interpretato, raccontato e anche spiegato”.

Ed eccomi ora a descrivere uno dei migliori spettacoli di questa stagione teatrale milanese. Comincio dalla scenografia, all’apparenza essenziale ma in realtà ricca di elementi che sanno valorizzare tutto lo spazio a disposizione. Tre lunghi tendaggi bianchi che scendono dal soffitto fino a toccare la base del palcoscenico di colore rosso, e costituito da una pedana sulla quale si elevano due gradini, sono la maestosa scena creata da Roberto Tarasco e impreziosita dal gioco di luci disegnati di Lucio Diana. In quest’ambiente, già di per sé ricco di fascino, si muove un’altrettanto affascinante Lella Costa completamente vestita di bianco e inizia a raccontare la vicenda di Otello. E lo fa in due momenti distinti: una prima volta, di circa due minuti, ricorrendo a un divertente scilinguagnolo come potrebbe avvenire in una narrazione che vuole essere la più sintetica possibile, quasi da media, e che si conclude con la frase finale: “pubblicità”. Il tutto pronunciando alla perfezione ogni singola parola. Travolgente! Poi entra nel vivo della storia, ne descrive l’ambientazione e passa a introdurre i vari personaggi. I primi a “entrare in scena” sono il ricco e insipiente Rodrigo che rimprovera l’alfiere Jago perché non ha ancora mantenuto la promessa di farsi mediatore nella richiesta della mano della figlia del senatore Brabanzio, la bella Desdemona, della quale si dice perdutamente innamorato. È ingenuo Rodrigo, tanto da rasentare la stupidità, facile preda dell’astuto Jago che gli spilla quattrini con la promessa che non potrà mai mantenere perché la donna è innamorata di un condottiero, il moro Otello. Già con questi due Lella Costa dimostra la sua enorme capacità di indossare gli abiti di personaggi tanto diversi tra di loro assumendone le caratteristiche più peculiari sia nella fisicità che nell’eloquio. Seguiranno tutti gli altri quando si scoprirà che Desdemona si è segretamente unita in matrimonio con Otello che, pur essendo utile ai veneziani perché in grado di sconfiggere i turchi nell’invasione di Cipro, viene accusato di avere conquistato il cuore della donna con qualche rito o pozione magica. La fase di quando tutti i personaggi principali vengono “portati” in scena contemporaneamente dall’attrice che si muove agilmente da un punto all’altro della scena con tanti atteggiamenti diversificati, parlando un po’ in italiano e un po’ in veneto, rappresenta uno dei momenti di maggior godimento dello spettacolo. Come è noto il processo a Otello si risolve con un “non luogo a procedere” e questo aumenterà l’odio di Jago per il moro con le conseguenze fatali che conosciamo.

Una storia di omicidio provocato dalla gelosia e dalla credenza di un falso tradimento, poi seguito da un suicidio. Impossibile non pensare ai femminicidi che accadono oggi nella nostra società. Ma oltre a questo tema riscontrabile nell’attualità sono altri ancora gli argomenti che vengono affrontati nella tragedia di Shakespeare, come quello dell’immigrazione, se si riflette sulla provenienza di Otello, personaggio che ha il torto di essere nato in un paese straniero e che può essere accettato in quello ospitante solo in funzione di quanto possa essere utile in compiti ingrati. Non a caso a tal proposito c’è una frase illuminante nel testo recitato dalla Costa, quella della gente veneziana che dice “noi non abbiamo nulla contro gli stranieri se ci portano del bene” (e in questo caso il riferimento è a Otello che ha difeso la Repubblica Veneta dai turchi). Ma poi c’è il personaggio di Jago, con i suoi atteggiamenti melliflui, un essere bugiardo, imbroglione, manigoldo che lo rendono assomigliante a tanti personaggi della nostra quotidianità (l’attrice lo interpreta perfettamente mettendo in rilievo tutte le sfaccettature del suo modus operandi, rendendolo, come un ragno che tesse la tela, quasi il protagonista della vicenda). Lella Costa nel suo spettacolo fa emergere tutte queste storture usando un linguaggio variegato che ricorre al comico e al dramma passando da un rap alla maniera di Mahmood allo struggente “Lascia ch’io pianga”, consapevole che ogni tragedia ha un risvolto comico e viceversa.

Per finire una Lella Costa in una serata di grande successo, con un pubblico che l’ha chiamata più volte in scena e lei che è venuta sul proscenio a prendere i meritati applausi avvolgendosi nei bianchi e lunghi teli bianchi che precedentemente aveva staccato dal punto in cui erano fissati e che durante la rappresentazione avevano avuto, grazie al gioco cromatico delle luci, la funzione di rappresentare di volta in volta le vele delle navi, le lenzuola del letto nuziale, le tenebrose calli notturne della città.

“Di precise parole si vive. E di teatro” sono le parole della canzone “Discanto” di Ivano Fossati. Ed è proprio quell’ultima frase emblematica a valorizzare compiutamente il lavoro di Lella Costa.

Visto il giorno 19 aprile 2024

(Carlo Tomeo)

LELLA COSTA
in
OTELLO
di precise parole si vive
drammaturgia Lella Costa e Gabriele Vacis
scenofonia Roberto Tarasco
scene Lucio Diana
regia Gabriele Vacis foto Serena Serrani produzione Teatro Carcano Distribuzione Mismaonda

Categorie RECENSIONI

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