“La cerimonia del massaggio” al Teatro Elfo Puccini, sala Bausch – Recensione

Padre Geoffrey si appresta a recitare la celebrazione, “pratico connubio” come scrive Bennett “tra il festeggiamento e il commiato”, della vita di Clive, massaggiatore dei vip, prematuramente scomparso all’età di poco superiore ai trenta. Lo fa nella church Baush rivolgendosi a noi fedeli, segretamente, ma neanche tanto, peccatori, lì convenuti insolitamente in massa insieme ai pochi altri habitué anch’essi non alieni dal peccato (e del resto chi ne è totalmente esente?). Padre Geoffrey è Gianluca Ferrato nel suo nuovo spettacolo che fa parte dei circa quaranta (il numero è approssimativo) lavori da lui portati in scena nella sua prodigiosa carriera. Il testo è La cerimonia del massaggio di Alan Bennett e prende l’avvio con le parole del protagonista: “Io sono Padre Geoffrey Jolliffer e officerò questa cerimonia in memoria di Clive Dunlop”.

Il monologo, che appare come una satira sulla religione anglicana, e che potrebbe essere estensibile anche a tutte le religioni cristiane, in realtà affronta con l’ironica e dissacrante scrittura dell’autore inglese il tema più profondo della condizione umana combattuta tra spiritualità e corporeità, tra fede e carnalità. È lo stato vissuto dal protagonista della vicenda che, nel momento in cui si appresta a celebrare una funzione che fa parte della sua normale attività, si trova a dover fare i conti con qualcosa di strettamente personale che riguarda la sua sfera più intima e inconfessabile. Le gesta più salienti vissuti in vita e solitamente degne di essere ricordate in una cerimonia funebre come quella che sta per essere celebrata mettono ora in seria difficoltà Padre Geoffrey non essendo i meriti del defunto Clive esattamente esemplari e degni di ammirazione almeno secondo la morale corrente. Il prelato aveva infatti in più occasioni più o meno al pari degli altri clienti “usufruito” e con soddisfazione di quei meriti. E così come evitare di citare tra quelli le di lui gambe massicce e la schiena marmorea oltre al fatto che il detentore di quei meriti avesse una sì numerosa quanto inspiegabile clientela? La celebrazione, in sintonia con il mestiere esercitato dal defunto, fa quindi ricorso a una serie di frasi attente e ben circoscritte a termini religiosi, in modo da “massaggiare”, in luogo del corpo, le menti al fine di far affiorare pensieri in qualche modo virtuosi e meno profani. E però agli occhi di Padre Geoffrey quel pubblico, combattuto tra la nostalgia dei favori ottenuti, spesso a caro prezzo, e dispiaciuto per averli persi, sembra poco disposto a farsi “massaggiare” con le parole. Questo almeno fino a quando si diffonde il sospetto che la morte del caro estinto possa essere dovuta a una malattia trasmettibile sessualmente, gettandosi tutti nel panico.

La scena è costituita da un parterre occupato da un cavalletto coperto da un panno che, una volta tolto, mostra l’immagine del volto del defunto. Al centro, c’è un imponente altare sul quale più volte Padre Geoffrey sale e scende a seconda dei momenti più solenni del monologo. Lui è personaggio complesso, è un religioso laico che non esita a esprimere anche giudizi che non si conciliano con il proprio mestiere (“Io di Dio non mi fido mica” dirà in un momento di scoramento) e del resto ricorda i tempi del seminario quando i giudizi ricevuti dagli insegnanti non erano sempre allineati alla norma. Il suo anelare a una vita diversa da quella che conduce rimane frustrato: il peso della solitudine giustifica anche la presenza di un Clive stravaccato sul divano mentre lui gli preparava due uova strapazzate. E, se per questo doveva spendere, ebbene la morale è che “quelli erano soldi ben spesi”.

Gianluca Ferrato interpreta Padre Geoffrey che si muove in una sorta di black comedy dal taglio tragicomo mentre utilizza un linguaggio che sa essere ironico e sferzante, brioso e contenuto, rendendo con proprietà il personaggio che vive una vita contraddittoria, in bilico tra il rispetto dell’osservanza delle regole chiesastiche e il desiderio di liberarsi dalle strettoie imposte dalla tradizione. La sua recitazione inizia con tonalità divertenti e divertiti che trovano giustificazione in un testo mordace, in alcuni punti grottesco e ricco di sfumature fatto di doppi sensi, per poi arrivare a momenti dal sapore dolente quando il personaggio si ritrova da solo a fare un bilancio della propria vita fatta di solitudine senza riscatto. Ad aiutarlo è la attenta scrittura di Tobia Rossi, nella quale il sacro e il profano costituiscono elementi che si intrecciano in una drammaturgia che pone molto bene l’accento sul tema della piéce capace di provocare divertimento ma anche essere motivo di riflessione.
Lo spettacolo è stato accolto con lunghi e ripetuti applausi.

Visto il giorno 20 dicembre al Teatro Elfo Puccini
tragicomico e irriverente
(Carlo Tomeo)

GIANLUCA FERRATO
in
LA CERIMONIA DEL MASSAGGIO
di Alan Bennet
regia
Roberto Piana e Angelo Curci
traduzione Anna Marchesini
drammaturgia Tobia Rossi
scene Francesco Fassone
costumi Agostino Porchietto
light designer Renato Barattucci
video designer Simone Rosset

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