
È presente in questi giorni, il debutto è avvenuto ieri sera, la commedia “Il vedovo”, adattamento di Ennio Coltorti e Pier Luigi Clementi del film omonimo di Dino Risi del 1959. Protagonisti sono Massimo Ghini e Galatea Ranzi che sostengono le parti che furono di Alberto Sordi e di Franca Valeri. La vicenda si svolge alla fine degli anni ’50 e, a differenza del film, è ambientata a Roma. Conviene riassumerne brevemente la trama che vede protagonista Alberto Nardi (Massimo Ghini), un industriale romano titolare di un’azienda di ascensori con pessimo senso degli affari, tanto che vive di denaro preso in prestito e difficile da restituire. È sposato con una ricca donna di affari, Elvira (Galatea Ranzi), alla quale per farsi sovvenzionare nell’impresa e far fronte agli impegni, chiede continuativamente soldi, cosa che la moglie gli rifiuta, salvo prestargliene anonimamente attraverso un ricco imprenditore a interessi da usuraio. Un accadimento improvviso e insperato che possa risolvergli i problemi sembra arrivare in suo soccorso ma si rivelerà essere fallace e però quell’evento gli sarà di suggerimento per dargli la spinta a intraprendere un’azione che potrebbe risolvergli finalmente i problemi. Per i pochi che non conoscono il film di Risi, la cui trama viene seguita fedelmente, appare opportuno non rivelare come si conclude la storia. ma un indizio potrebbe essere fornito da un film di Woody Allen del 2015.

L’inizio è ambientato nell’ufficio di Alberto Nardi ossessionato dalle continue telefonate dei suoi creditori malamente filtrate dal Ragionier Stucchi (Luca Scapparone), dagli operai che reclamano dall’esterno i loro stipendi non ancora elargiti e dall’arrivo del Commendatore Lambertoni (Pier Luigi Misasi), che viene a lamentare del mancato pagamento delle cambiali che Nardi aveva firmato e non onorate alla loro scadenza. L’uomo si barcamena, attribuisce il mancato rispetto degli impegni con frasi stereotipate di quegli anni (e che purtroppo lo sono ancora) tipo “I sindacati non mi danno tregua”, “Eh, quando c’era lui..”. A tutto questo si aggiungono le brevi fastidiose telefonate della moglie con i suoi ordini. Una soluzione a risolvere i problemi più immediati potrebbe essere la concessione di un prestito bancario che gli verrebbe concesso immediatamente e senza problemi solo se la donna se ne facesse garante apponendo la propria firma sulla richiesta. Su questo fronte l’uomo pensa di muoversi anche se intravede difficoltà a raggiungere l’obiettivo.

La prima entrata in scena di Elvira avviene nel living del suo appartamento con una telefonata alla madre che ricorda un po’ quelle sostenute dalla Signora Cecioni, famoso personaggio del repertorio di Franca Valeri, ma qui la mamma interpellata appartiene a una più alta levatura socioeconomica: essa infatti vive a Zurigo, ama giocare a poker, chiede notizie del genero e se queste raccontano di debacle finanziaria adduce a giustificazione la sfortuna, subito contraddetta dalla figlia che ne attribuisce la causa all’insipienza e all’incapacità negli affari dell’uomo non a caso da lei chiamato Cretinetti.
Se il finale della pièce, data la fama del film, è conosciuto ai più, occorre precisare che non è questo la parte essenziale della rappresentazione perché a renderla importante è come si svolge l’azione sul palcoscenico dove convergono diversi punti che, a differenza della pellicola, sono ovviamente e più squisitamente di carattere teatrale riservando sorprese che travalicano lo scorrimento della trama strettamente cinematografica. Teatro di parola, quindi, che avvalendosi anche delle eclettiche ma misurate gestualità degli artisti, lo arricchiscono nonostante la scena fissa e, anzi, proprio per questo si colora di atmosfere inedite che impreziosiscono il testo il cui argomento va aldilà del divertimento. Pur trattandosi di una commedia brillante, infatti, essa si rivela, per il tema trattato, una black comedy dai dialoghi ironici, in più punti feroci e soprattutto ancora attuale: se il film fu uno dei primi rappresentanti della commedia all’italiana che con una sceneggiatura di carattere comico poneva una critica feroce alla società del boom, ancora oggi quella critica è rapportabile ai nostri tempi tanto che il personaggio principale, nonostante non si comporti bene secondo la morale corrente, non può non apparire simpatico di fronte alla spietatezza dimostrata da una moglie cinica che sostiene di essere stata vittima di un abbaglio il giorno che incontrò l’uomo e decise di sposarlo.

La commedia è presentata attraverso una serie di episodi, quasi dei flash, che si susseguono e determinano il trascorrere del tempo. Ogni episodio si conclude con lo spegnimento delle luci e con interventi musicali in carattere con la natura della scena appena conclusa. Espediente, questo, adatto alla soluzione del cambio dell’azione che avviene in una scena fissa costituita da due ambienti, quello dell’ufficio del protagonista e quello della casa dei coniugi le cui pareti sono coperte da una tappezzeria secondo la moda degli anni ’50. Le musiche non originali sono quelle d’epoca come “La postina della Val Gardena” di Clara Jaione o “Quando canta Rabagliati”, dove uno dei più acclamati cantanti degli anni della RAI celebrava se stesso e chiamato in causa, come invitato a cantare l’Ave Maria, passaggio un po’ incongruente con l’ambientazione della pièce perché Alberto Rabagliati si ritirò dalla scena nel 1954 ritornadovi solo negli anni ’70.

La forza della messa in scena, oltre alle battute folgoranti a volte imprevedibili (una delle più esilaranti è quella recitata in un momento critico dal Ragionier Stucchi “Finalmente è riuscito a piangere”), è dovuta al ritmo mantenuto nelle varie azioni che sanno regalare una sorta di suspense grazie anche all’assenza dell’intervallo. Massimo Ghini entra alla grande nel classico personaggio megalomane un po’ sbruffone e un po’ ruffiano così come è presente nell’immaginario collettivo senza cadere nella parodia e tanto meno nell’imitazione di Alberto Sordi. La sua regia tiene conto infatti di questo particolare che è di rispetto e omaggio al grande attore romano. In conferenza stampa Ghini aveva raccontato un episodio riguardante la volta in cui conobbe Sordi il quale, dopo aver sentito di un’eventuale imitazione che qualcuno potesse fare di lui gli disse <Tu lo poi fa’>. Anche Galatea Ranzi è ben lontana dal rifare Franca Valeri, cucendosi addosso un’Elvira nuova ben inquadrata nel contesto scenico mantenendo appena due battute, inevitabili, dell’attrice milanese. E del resto il personaggio di Elvira, che nella commedia vive a Roma, aspira al raggiungimento della Milano da bere, luogo più consono alle sue ambizioni. I due eccellenti ed eclettici artisti sono coadiuvati da un’affiatata compagnia i cui crediti sono doverosamente citati in calce all’articolo.

Felice accoglienza da parte del numeroso pubblico che alla fine defluisce dalla sala al suono di “Mambo italiano”. Repliche fino al 23 novembre. In calce le info per acquisto biglietti.
Vista il giorno 11 novembre 2025
(Carlo Tomeo)
MASSIMO GHINI in IL VEDOVO dal film di Dino Risi
adattamento di Ennio Coltorti e Gianni Clementi con Galatea Ranzi e la partecipazione di Pier Luigi Misasi e con Leonardo Ghini, Giulia Piermarini, Diego Sebastian Misasi, Tony Rucco, Luca Scapparone – Regia Massimo Ghini – Musiche Davide Cavuti – Costumi Paola Romani – Produzione Nuova Enfi Teatro, Nuova Artisti Riuniti e Teatro Parioli Costanzo – Foto messe a disposizione dalla Produzione
TEATRO MANZONI
Dall’11 al 23 novembre 2025 (feriali ore 20,45 – dom. ore 15,30 – sab. 22 novembre ore 15,30 e 20,45
BIGLIETTI Prestige € 37,00 – Poltronissima € 34,00 – Poltrona € 26,00 – Poltronissima under 26 anni € 18,00
Per acquisto:
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