
Cosa può dimostrare quella scena scelta da Lavia per il suo Re Lear? E quelle persone vestite con essenziali, comuni, abiti neri che sopraggiungono al suono di una nenia che definisce un tempo vagamente collocabile? Sono persone che, nel momento in cui iniziano a indossare mantelle lunghe quasi fino ai piedi, si rivelano essere attori che, basta la foggia di quell’indumento, a collocarli in una epoca lontana e renderli personaggi di uno spettacolo che va a iniziare. Quello che sembrava un grande capannone abbandonato pieno di oggetti ingombranti, sedie rovesciate, scatoloni, bauli, si rivela essere un teatro in disuso, come quelli che vengono utilizzati per fare le prove degli spettacoli. Questa però, per come si svolge senza interruzioni e per l’intensità recitativa, appare più come una prova generale di quello che poi sarà rappresentato. Oppure è la reale messa in scena dello spettacolo che si svolge in un teatro che vuole far sentire ancora viva la sua presenza, e lottare per sopravvivere malgrado il quasi disfacimento fisico dei suoi strumenti. Una dissoluzione che è metafora del destino del protagonista che era Re con una corte assoggettata al suo volere e che, dopo la sua abdicazione, mostra la rivalsa propria di chi era asservito e ora, raggiunto il bramato potere, non è disposto a rinunciarvi. Accade alle due figlie maggiori, schiave di una smodata ambizione che, al contrario della terza figlia animata da sincero amore per il genitore, superano qualsiasi forma di rispetto filiale.
Il Lear prodotto dal Teatro di Roma, Effimera e LAC Lugano Arte e Cultura affidato a Gabriele Lavia, regista e protagonista, rappresenta quasi un dovere da assolvere per l’attore milanese che lo aveva già interpretato nei panni di Edgard nel 1972 sotto la regia di Strehler, come racconta nella presentazione dello spettacolo «Il destino mi ha riportato a Re Lear, anche se avevo deciso di non farlo. Evidentemente Giorgio Strehler ha sentito e mi ha teso questa trappola». Una trappola, visti i risultati, che si è rivelata opportuna perché vincente.

I temi della tragedia che Shakespeare scrisse tra il 1605 e il 1606 sono quelli della follia e della fragilità della natura umana, del potere perduto, dell’amore filiale tradito, tutti argomenti sempre attuali nonostante il trascorrere dei secoli e per questo l’opera è proposta periodicamente nei teatri. La versione di Lavia è fedele al testo originale tradotto da Angelo Dallagiacoma e Luigi Lunari. La storia è nota: Re Lear, volitivo, abituato a comandare, e quindi pronto a ricevere l’assenso da parte dei suoi sudditi, deciso a cedere alle sue tre figlie il proprio regno, ordina che ne venga mostrata la mappa che viene fatta scendere dall’alto e mostra le tre parti in cui è stato diviso. Ma prima vuole interrogare le figlie sulla qualità dell’affetto che esse ripongono in lui. La sua alterigia non mette in conto che le dimostrazioni verbali di affetto possano essere solo furbe adulazioni per ottenere di più e così rimane conquistato dalle parole della figlia maggiore e della seconda. Si adombra fino ad andare in una collera furiosa quando la sua terza figlia, la prediletta, non usa parole ridondanti per esprimere il suo affetto sincero. Questo porterà il Re a diseredarla. Eppure alla fine quando la tragedia, dopo tutte le peripezie vissute, sta per giungere alla dolorosa conclusione sarà proprio a lei che, ormai spogliato dei suoi averi e di quella considerazione che era abituato a ricevere quando regnava, si rivolgerà per consolare il suo animo ferito. Accanto alla vicenda dolorosa di Lear padre c’è quella del conte di Gloucester e dei suoi figli Edgar, legittimo, ed Edmund, illegittimo e per questo “bollato dal marchio d’impurità” che inventa calunnie sul fratellastro per allontanarlo dal padre e guadagnarsi l’eredità facendo forte del suo pensiero che “I vecchi cadono, i giovani salgono”.

La recita si conduce nella serie di quadri come li aveva creati Shakespeare dove il protagonista passa dalla supremazia del comando al rigetto dello stesso nel momento in cui perde il potere e man mano che le figlie impongono le loro volontà anteponendola a quella del padre che non esitano a dichiarare vecchio e quindi privo di senno. E da lì, infatti, che la saggezza del Re inizia a vacillare malamente sostenuta dal matto che, lui sì, possiede, nascosta tra i lazzi, il discernimento utile ad accompagnarlo nel girovagare tra i boschi durante una furiosa tempesta che li coglie all’improvviso. Notte di tregenda resa scenicamente dal forte rumore dei tuoni e dall’agitazione sul fondo del telone che più tardi cadrà per mostrare i macchinari teatrali utili a simulare eventi particolari che si compiono solitamente sul palcoscenico. Siamo nella formula di teatro nel teatro dove vengono mostrate le azioni che avvengono dietro le quinte che non hanno necessità di scenografie appositamente allestite ma solo di arnesi, strumenti, attrezzature, tutto accatastato in disordine, simbolo della confusione che si è venuta a creare nella mente di Lear. Ma quella caduta del telone è anche metafora del crollo delle falsità perpetrate sul davanti dai diversi personaggi-marionette nel loro gioco delle parti fatto di menzogne e di doppiezze che alla fine si disfaranno l’una dopo l’altra.

Gabriele Lavia ha creato una regia che sa essere ricca di mordente dove tutti i personaggi sono coinvolti in una recitazione emozionante e coinvolgente, assimilabile alla ferocia e alla crudeltà dei nostri tempi (e qui sta il concetto di eternità dell’opera di Shakespeare). Il suo apporto recitativo è ricco di quelle sfumature richieste dal personaggio nella sua progressiva caduta: dall’essere autocratico quasi tirannico dell’inizio fino all’arrivo del crollo fisico e mentale della fine dopo essere passato attraverso le noti dolenti dell’amore tradito. Accanto a lui ha agito un’affiatata compagnia di artisti, tra i quali spiccano i nomi di Giuseppe Benvegna e Ian Gualdani (rispettivamente nei ruoli di Edgar e Edmund), Luca Lazzareschi (nei panni di Gloster) e Federica Di Martino e Silvia Siravo (nelle vesti di Goneril e Regan), che ha reso lo spettacolo appassionante, provocando il giusto apprezzamento del pubblico che ha applaudito a lungo. Repliche fino al 9 ottobre. In calce all’articolo i crediti, il trailer e le info per acquisto biglietti.
Visto il giorno 28 ottobre 2025
(Carlo Tomeo)
Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi – M2 Lanza), 28 ottobre – 9 novembre 2025
Re Lear di William Shakespeare – traduzione Angelo Dallagiacoma e Luigi Lunari – regia Gabriele Lavia – scene Alessandro Camera – costumi Andrea Viotti – luci Giuseppe Filipponio – musiche Antonio Di Pofi – suono Riccardo Benassi – con Gabriele Lavia – e con (in ordine alfabetico) Giovanni Arezzo, Giuseppe Benvegna, Eleonora Bernazza, Beatrice Ceccherini, Federica Di Martino, Ian Gualdani, Luca Lazzareschi, Mauro Mandolini, Andrea Nicolini, Giuseppe Pestillo, Alessandro Pizzuto, Gianluca Scaccia, Silvia Siravo, Lorenzo Tomazzoni
assistenti alla regia Matteo Tarasco, Enrico Torzillo – assistente alle scene Michela Mantegazza – assistente ai costumi Giulia Rovetto – suggeritore Nicolò Ayroldi – foto Tommaso Le Pera – produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Effimera, LAC Lugano Arte e Cultura
Orari: dal martedì al sabato, ore 19.30; domenica, ore 16. Lunedì riposo.
Durata: 3 ore e 30 minuti incluso un intervallo
Prezzi: platea 33 euro, balconata 26 euro
Informazioni e prenotazioni 02.21126116 – www.piccoloteatro.org
