
Ci sono spettacoli affascinanti che non esauriscono la loro attrattiva all’uscita del teatro perché portatori di elementi che richiedono una riflessione appofondita da parte dello spettatore, tanto che, se il personaggio protagonista grazie ai suoi capelli biondi si faceva chiamare Golden Man, a buon diritto l’artista che ne descrive le gesta sul palcoscenico potrebbe essere definito, grazie alla sua bravura, un Golden Attore anche se i suoi capelli non sono di colore biondo. Mi riferisco allo spettacolo visto ieri sera al Piccolo Teatro di Via Rovello, scritto e diretto da uno Stefano Massini in stato di grazia. 140 minuti di monologo ininterrotto in cui si parla di Donald J. Trump dalla nascita fino al compimento dei sessant’anni quando non aveva ancora intrapreso la carriera politica. Un racconto tratto dal libro omonimo adattato per la scena e che procede per episodi avvincenti separati da interventi musicali evocativi di un periodo di 60 anni di storia americana. suonati da un ensemble formato da quattro eccellenti musicisti.
Lo spettacolo inizia con il racconto della nascita di Donald j. (e il J. sta per John) Trump avvenuta alle ore 12,37 del 14 giugno del 1946 a Jamaica Estates nel Queens, sobborgo di New York, in una villa in stile neutodoriano. (L’esatta conoscenza dei luogo e ora di nascita permettono agli astrologi di compilare il tema natale e darne le diverse interpretazioni). Una villa provvista di vialetto che attraversa un prato ben curato, camere da letto e da pranzo e da un salotto nel quale fa mostra di sé un televisore provvisto d’antenna davanti al quale la famiglia si riunisce alla sera. Un apparecchio chiamato “scatola” dalla diffidente governante tedesca che proprio non riusciva a nominarla con il suo vero nome e che temeva la cattiva influenza che avrebbe potuto esercitare sulla padrona di casa quando era incinta. E fu proprio in uno di quei giorni che la signora Trump fu colta dalle doglie e mise al mondo il suo terzo figlio, Donal J., appunto.
Massini trae spunto da questo episodio per fare un passo indietro e raccontare maggiori dettagli sulla famiglia Trump: la mamma si chiamava Mary Ann MacLoad di nascita scozzese che a 19 anni era emigrata a New York dove aveva conosciuto Frederick Christ Drumpf, tedesco, che però si dichiarava di nascita svedese perché all’epoca chi proveniva dalla Germania non era ben visto. Del resto anche Mary Ann aveva di che lamentarsi per l’accoglimento ricevuto in America e diceva: “Ho fatto per anni la lavapiatti qua a Long Island dove agli scozzesi gli sputano dietro”. I due si sposarono e l’uomo cambiò il cognome rendendolo una via di mezzo tra quello svedese e quello americano. Frederick Drumpf, nella nuova identità, divenne un noto immobiliarista di New York e questo influì sulla prima professione del figlio che da lì costruì il suo potere.
Fin da piccolo Donald J. si dimostrò ricco di inventiva e a sei anni aveva capito perfettamente il valore del denaro, quanto potesse essere utile e soprattutto come farlo moltiplicare in modo truffaldino. Fu una lettera scritta dal preside della scuola frequentata dal ragazzo a Trump padre a rivelare l’inganno: “Vostro figlio sta cercando di convincere i suoi compagni che una banconota da 10 dollari equivale a una da un dollaro e che è disposto a offrirne due da un dollaro in cambio di quella da 10, solo perché gli piace di più il volto che c’è sull’altra”. La lettera aveva un tono bonario ma circa sei anni dopo lo stesso preside ne scrisse un’altra di ben altro tenore dove raccontava che il ragazzo gli disconosceva l’autorità perché “non era stato eletto dal popolo” e aveva convinto della cosa i suoi compagni che si allearono sotto la finestra del suo ufficio per protestarlo tanto che lui fu costretto a saltare sulla bicicletta e a correre sotto forti scrosci di acqua piovana per chiudersi in casa. Fu a seguito di questo episodio che Donald, su spinta del padre, lasciò la Kew-Forest a tredici anni e si iscrisse presso la New York Military Academy, dove compì tutti gli studi fino al diploma delle superiori. Durante gli studi iniziò a lavorare presso l’industria di famiglia, la Elizabeth Trump & Son, che prendeva il nome dalla nonna paterna. Ma quel nome gli stava stretto e così, dopo aver trasformato il malfamato quartiere di Swifton Village di Cincinnati in Ohio nel New Swifton Village, tolse il nome di Elizabeth dall’intestazione dell’industria che divenne Trump Organization.
Fin dalla prima giovinezza Donad aveva mostrato un’irresistibile interesse per le donne, meglio se bionde, ma per conquistarle non usava i metodi tradizionali dei suoi compagni di scuola, lui aveva già insito il senso della seduzione su larga scala con il minimo dispendio d’energia. Per conquistarle lui non si scomodava di persona, le incuriosiva inviando loro un biglietto: “Sei stata scelta dal Golden Boy per una serata in sua compagnia, seguirà convocazione“ e all’incontro che seguiva erano dieci le regole che osservava per raggiungere il suo obiettivo tra le quali quella di allentare il polso della camicia per mostrare il suo orologio d’oro che serviva da pretesto per chiedere, ma era in realtà una affermazione: “Lo sai perché l’oro è oro? Perché in chimica non reagisce, resta sempre lui, non cambia mai”, concetto fisso nella mente dell’uomo che ne farà emblema basilare del suo pensiero. Oro che diventava quindi l’elemento in cui era forgiata la sua persona che non si confondeva con altri uomini fatti di leghe miste e quindi giudicati di valore minore. E alla fine la conquista era compiuta con l’applicazione delle ultime due regole: uno sguardo ammaliatore e la frase “ti chiamerò Golden Lady”.
Il racconto prosegue con eventi come la denuncia per razzismo a seguito del suo rifiuto ad affittare e vendere appartamenti ai “coloured”. In quell’occasione Trump fu difeso dall’avvocato più importante di Manhattan, Roy Cohn, che divenne suo amico e lo difese in altre occasioni. Il racconto delle altre sue mastodontiche imprese immobiliari di svariati milioni di dollari tra cui Il Trump Taj Mahal, il Trump Plaza Hotel e Casino, il Trump Castle Hotel and Casino continua fino al momento in cui queste sue proprietà iniziano ad accumulare debiti e il rovescio finanziario si compie. Trump apprende forse per la prima volta una forma di sconsolazione, riflette sulla sua età da sessantenne ma il suo carattere di prepotente gli fa già intravvedere nuove strade da percorrere. Quello che accadrà è cosa nota ma Massini non lo descrive nel suo monologo.
Uno spettacolo che sa essere prorompente per la ricchezza tematica affrontata in cui la biografia è modello dei mali dei nostri tempi attraverso l’analisi del potere, del denaro, della ferocia, della prepotenza, il tutto raccontato con ironia, spesso volgente al grottesco. il protagonista viene inquadrato a 360 gradi, visitato nelle sfaccettature del suo carattere, ma non è giudicato per le sue azioni, anzi in alcuni episodi vi sono momenti in cui risulta essere persino simpatico, come nei racconti riguardanti le sue “imprese” da ragazzo e che suscitano il riso tra gli spettatori.
A fare da sfondo al monologo è presente una scena formata da file di pedane disposte in tre livelli con un fondale neutro che viene arricchito con fiondate di luci dalle diverse cromature di grande effetto che fanno da commento visivo ai vari momenti della narrazione. Ad arricchire lo scenario, cartelli mobili riportanti le scritte delle insegne delle costruzioni di Trump che vengono inghiottite di colpo e simultaneamente nel momento della debacle commerciale. Sia per il colore delle luci sul fondale sia per questi oggetti mi viene in mette, operate le debite distanze, il film “Asteroid City” di Wes Anderson.
Il successo è stato strepitoso con prolungati applausi rivolti oltre che a Stefano Massini anche ai bravissimi quattro musicistidi. Repliche questa sera e domani pomeriggio. In calce i crediti e le info per acquisto biglietti.
Viso il giorno 17 ottobre 2024
(Carlo Tomeo)
Piccolo Teatro Grassi (Via Rovello 2 – MM 1 Cordusio), dal 14 al 19 ottobre 2025
Donald. Storia molto più che leggendaria di un Golden Man
di e con Stefano Massini
scene Paolo Di Benedetto, disegno luci Manuel Frenda, costumi Elena Bianchini, musiche Enrico Fink eseguite da Valerio Mazzoni, Sergio Aloisio Rizzo, Jacopo Rugiadi, Gabriele Stoppa
produzione Fondazione Teatro della Toscana
Orari: mart. e sab. ore 19.30; merc. e ven. ore 20.30; domenica, ore 16. Giovedì riposo.
Durata: 140′
Prezzi: platea 33 euro, balconata 26 euro
Informazioni e prenotazioni 02.21126116 – www.piccoloteatro.org
