“Chavela V.” con Camilla Barbarito in Cortile di Palazzo Sormani – Recensione

© Matteo Capuzzi

Camilla Barbarito racconta (e canta) di Chavela Vargas. Da amante qual sono della musica latino americana avevo perso con rammarico questo spettacolo quando era stato presentato nel giugno scorso all’Atelier del Teatro Menotti perché in quei giorni ero assente da Milano. L’ho “recuperato” fortunatamente sabato scorso nella Rassegna Menotti in Sormani. Conoscevo già Chavela Vargas attraverso i suoi dischi e i suoi video che hanno raggiunto il grosso pubblico negli anni ’90 quando, dopo circa undici anni dall’abbandono della scena, partecipò al film di Herzog “Grido di pietra”. Com’è noto a diffondere meglio la sua figura fu poi Almodovar che utilizzò le sue canzoni come colonne sonore di alcuni suoi film. Assistere ora a uno spettacolo in cui viene omaggiata da una cantante dalle eccellenti capacità di Camilla Barbarito mi ha procurato enorme piacere.

Chavela Vargas nacque in Costarica e all’età di 14 anni fuggì dal paese di nascita, considerato troppo stretto per la sua indole ribelle, per trasferirsi in Messico ritenendola la sua vera patria perché, come recita Barbarito che la interpreta, “noi messicani nasciamo dove cazzo ci piace” e qui iniziò la sua attività di cantante esibendosi per le strade. Lo spettacolo, diretto da Claudia Donadoni che l’ha scritto insieme a Camilla Barbarito in scena, accompagnata dal chitarrista Fabio Marconi, ripercorre la vita dall’artista messicana partendo dagli anni della prima adolescenza quando dimostrava senza misura la sua sete di libertà incontrando le ostilità dei paesani che criticavano le sue passeggiate in ore serali e non si sapeva dove la conducevano e con chi. I continui rimproveri materni che cercavano di ricondurla a una vita consona al suo genere e le frustrazioni di una vita contrastante la sua natura, la spinsero ancora giovanissima a fuggire.

Barbarito fa rivivere la figura di questa cantante straordinaria, che ha vissuto secondo la sua indole impavida, ricorrendo a una esibizione fortemente espressiva che va oltre la semplice narrazione: lei non interpreta, vive il personaggio. In questo aiutata naturalmente anche dalle canzoni che sono componente essenziale di tutto lo spettacolo. La sua voce che varia di intensità e di potenza, sa spaziare con naturalezza tra le varie tonalità dei brani che si distinguono tra temi che parlano di amori infelici, di drammi, di nostalgie ma non manca il tocco affettuoso che si rivolge con allegria all’amato e Cielito lindo, cantata alla fine, ne è un esempio, quello che fa immergere completamente gli spettatori nell’aura messicana rendendoli tutti allegri non senza procurare una forma di saudade che, anche se non si è in Brasile, il suo essere arrriva comunque agli animi e provoca qualche lacrimuccia (liberatoria, of course!).

La voce di Barbarito non si limita solo al canto e al parlato ma utilizza anche suoni vocali, come il fischio nel quale si mostra particolarmente versatile, per riprodurre suoni che fanno pensare al luogo di origine di Chavela abitato da campesinos e in questo utilizza anche vari elementi quali una grossa corda con la quale percuote il pavimento. In questo modo è descritta con forza la rabbia contestatrice di una donna che afferma la propria libertà e rifiuta i condizionamenti di una società retriva.

La vita di Chavela viene evocata in quelli che sono stati i momenti più salienti della sua vita, come l’incontro con Frida Kahlo avvenuto una sera in cui si era recata con un amico a una festa nella Casa Azul, l’abitazione di Frida e di Rivera, e che da allora frequentò ininterrottamente per circa un anno. Fu un amore passionale quello provato per la pittrice, uno di quegli amori così intensi che “forse solo gli artisti sono capaci di provare”: Amori disperati come sono descritti nei versi di una delle canzoni cantate nello spettacolo, Paloma negra (“Ya me canso de llorar y no amanece / Ya no sé si maldecirte o por ti rezar / Tengo miedo de buscarte y de encontrarte / Donde me aseguran mis amigos que te vas”).

In questo contesto il Messico viene idealmente percorso con il canto e il suono della chitarra del validissimo Fabio Marconi, in perfetta sintonia con Camilla Barbarito la cui voce ha del miracoloso grazie alla varietà degli accenti. Il Messico tutto è sul palco, c’è anche un accenno della canzone “Mexico e nuvole” di Jannacci che fa allegria come sembrano farla i bicchierini di tequila che i due bevono sul palco, altro omaggio al paese, bevanda nazionale che si beve in qualsiasi occasione, per festeggiare l’allegria, per far fugare la tristezza e comunque sempre. Un dubbio sorge: sarà vera tequila quella che i due artisti bevono o acqua fresca? Dubbio irrisolto. Una cosa pare sia documentata: sembra che nella sua vita Chavela ne abbia bevuto circa 20.000 litri. “E di quella buona” tiene a precisare Barbarito.

Nello spettacolo sono state eseguite alcune delle canzoni più significative della Vargas, come per esempio La Llorona, storia leggendaria di una schiava che fu amata dal suo padrone dal quale ebbe due figli e fu poi abbandonata. La donna, come una Medea del Sudamerica, uccise i figli per poi pentirsi e sicidarsi ma la sua anima, tuttavia, non trovava pace e fu condannata a vagare sulla terra per l’eternità alla ricerca dei suoi figli (“Quien tiene amor tiene pena). Mi sarebbe piaciuto ascoltare un altro cavallo di battaglia di Chavela Varvas, Piensa en mi. Per chi avesse voglia di sentirla, è disponibile in più versioni su You Tube in alcune esecuzioni live degli anni ’90.

Lo spettacolo, visto da un folto pubblico, è stato salutato con ripetuti applausi e diverse chiamate.

Visto il giorno 26 luglio 2025

(Carlo Tomeo)

CHAVELA V. con Camilla Barbarito

Musica dal vivo di Fabio Marconi

Scritto da Claudia Donadoni e Camilla Barbarito

Diretto da Claudia Donadoni

Produzione Tieffe Teatro

Categorie RECENSIONI

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