“Autoritratto – Istruzioni per sopravvivere a Palermo” al Piccolo Teatro Grassi – Recensione

“Autoritratto” è un potente testo di forte impegno civile che racconta fatti di cronaca aventi protagonista misfatti e omicidi della mafia organizzata che partono dagli anni ’80, quando Davide Enia frequentava le scuole primarie, fino alla tragedia dell’uccisione del giudice Borsellino nel 1992. Avvenimenti cui ha assistito in parte l’autore stesso (“Il primo morto ammazzato lo vedo a otto anni tornando a casa da scuola”) e in parte ascoltando le testimonianze di amici, della gente della città e quelle di tre funzionari in pensione che appartenevano alla Direzione Investigativa Antimafia. La città è il capoluogo siciliano e non a caso il sottotitolo dello spettacolo è “Istruzioni per sopravvivere a Palermo” che sono quelle che Enia in un punto focale del testo elenca, una per ogni giorno della settimana, e che potrebbero avere un sapore ironico se non racchiudessero un profondo senso di adattamento a un doloroso fatalismo a cui poi seguirà un atto di ribellione che dischiuderà la strada alla speranza del cambiamento. Ed è questo il momento più coinvolgente dello spettacolo quando, proprio dopo l’omicidio di Borsellino, i cittadini osarono dire di no a Cosa Nostra. Enia racconta che a iniziare fu una donna che appese sul balcone di casa un lenzuolo bianco sul quale aveva scritto “Palermo chiede giustizia”. Il messaggio, dice Enia, è “Io sono contro di voi e, se volete, venite a casa mia e mi ammazzate ma io sono contro di voi e l’urlo davanti a tutti”. Quell’atto fu accolto mezz’ora dopo quando nel balcone di fronte un altro lenzuolo bianco fu appeso con la scritta “Insieme possiamo farcela”. Alla sera i lenzuoli appesi al balcone furono centinaia. E la voce di Enia sul palcoscenico si fa intensa: “La voce del singolo diventa coralità”.

Non è un semplice spettacolo quest’opera che Enia ha rappresentato in prima nazionale al Festival dei Due Mondi di Spoleto lo scorso anno e poi, per circa un mese, l’ultima replica è prevista per questa sera, al Piccolo Teatro Grassi: ha il sapore di un’oratorio dove la voce del protagonista si amalgama con i canti composti da Giulio Barocchieri a narrare una realtà che non è solo parlata ma anche cantata sulla base di musiche e suoni della gente della Vuccirìa, le Abbanniate eseguite sia a cappella da solo, e qui la voce di Enia sa essere energica e potente, sia accompagnate dalla voce e dal suono della chitarra del musicista. Ed è proprio un’abbanniata a aprire lo spettacolo, quella della voce del venditore di merci che percorre le strade della città: “Affacciateve / Affacciateve fuora / Tutte quante / Mascule femmene e picciriddi”. E così che viene ricreato l’ambiente che fa da sfondo alla storia. Un luogo spoglio solo in apparenza perché gli elementi di arredo esistono e sono quelli creati dalla luce con i suoi mutamenti di intensità, ora fatti di tagli molto luminosi, ora di intensità più soffuse in sintonia con i diversi passaggi narrativi. Il primo racconto è proprio quello in cui l’autore rammenta del suo impatto con il cadavere dalla cui testa “esce un lago di sangue” e che si trovava in strada sotto il balcone del suo compagno di scuola Peppe Malato che proprio quella mattina non era andato a scuola. È qui che apprende la differenza tra i termini di “ammazzatina” e “ammazzata”che fanno parte della “classifica degli omicidi”. L’esposizione è veloce, agitata, propria di un bambino che vive un episodio inaspettato, ansioso di riferirlo alla propria madre, e si accompagna con la gestualità del linguaggio riservato ai non udenti. Il suo mite compagno Peppe, intanto, sconvolto dall’omicidio, griderà ai propri genitori “È colpa vostra se mi fate crescere in una città dove ti ammazzano le persone sotto il balcone di casa, io qui non ci voglio stare e voi mi costringete a vivere qui” e per paura non vorrà uscire di casa per una settimana.

L’analisi di Cosa Nostra sa essere approfondita, ne vengono svelate le caratteristiche più rimarchevoli, il suo codice è improntato solo alla soppressione del prossimo e ai pentiti diventati collaboratori di giustizia viene riservato l’uccisione di un congiunto preferibilmente di un figlio come quella del piccolo Giuseppe Di Matteo tenuto prigioniero per 779 giorni prima di essere assassinato. Un uomo fu ucciso tre giorni prima delle nozze e non dopo il matrimonio per risparmiare alla donna lo stato vedovile. Gli episodi narrati si susseguono con drammaticità e con forte partecipazione procurando al pubblico un pugno nello stomaco. No, non è retorica: Enia racconta con foga e con passione fatti dolorosi che si sono verificati da (e per) anni nella sua terra di nascita ai quali finalmente gli abitanti iniziarono a ribellarsi, superando quella fase che imponeva il silenzio per non cadere vittime delle cosche mafiose.

La narrazione non conosce tregua, diventa quasi una seduta dall’analista quando l’autore si fa attore e rivive il periodo in cui, grazie alle parole di un amico che era tornato dall’estero, conosce veramente, all’età di diciassette anni, la sua Palermo e ne elenca in un monologo particolarmente vigoroso le caratteristiche. È un momento trascinante che provoca un poderoso impatto emotivo (“Palermo vuccirìa, Palermo lagnusirìa, Palermo Camurrìa, Palermo vastaserìa, Palermo Santa Rosalìa” fino a “Palermo ‘un staiu parlando cu ttìa, Palermo chi vuoi ‘i mia, Palermo pensa pi’ ttìa, Palermo senza ‘i mia”), e qui la prova attoriale di Enia raggiunge il massimo dell’espressività. E in effetti così Davide Enia motiva la scelta di scrivere il suo testo il cui titolo non è preso a caso: “Affrontare per davvero Cosa Nostra significa iniziare un processo di autoanalisi. Non volere quindi capire in assoluto la mafia in sé, quanto cercare di comprendere la mafia in me”. Il mezzo migliore per comunicarlo è quello teatrale fatto di parole, che in punti speciali sono dialettali per renderle più incisive, di canto anch’esso solo dialettale come quello di una canzone di Giovanna Marini, e di suono, come quello che lo stesso Enia, ha definito “sporco”, “torbido, “cattivo” vicino al genere dei Portishead e ottenuto grazie alla versatilità compositiva e esecutiva del fertile Giulio Barocchieri.

Nel finale c’è un richiamo alla pozza di sangue dell’inizio che qui assume però un significato diverso e di forte intensità, capace di generare emozione e riflessione nel pubblico che ieri sera ha applaudito per oltre tre minuti Enia e il suo collaboratore Barocchieri. Ultima replica questa sera alle ore 19,30. In calce all’articolo le INFO con i crediti e le modalità per l’acquisto biglietti. Posti ancora disponibili. Ne consiglio la visione.

Visto il giorno 16 aprile 2025

(Carlo Tomeo)

Piccolo Teatro Grassi (via Rovello, 2 – M1 Cordusio), dal 25 marzo al 17 aprile 2025

Autoritratto

di e con Davide Enia, musiche composte ed eseguite da Giulio Barocchieri, luci Paolo Casati, suono Francesco Vitaliti, abiti di scena Antonio Marrascoproduzione CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Accademia Perduta Romagna Teatri, Spoleto Festival dei Due Mondi, con il patrocinio di Fondazione Falcone

Per le immagini © Fondazione Festival dei Due Mondi, foto Andrea Veroni

Durata: 90 minuti senza intervallo

Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro

Informazioni e prenotazioni 02.21126116 – www.piccoloteatro.org

Categorie RECENSIONI

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