“La ferocia” al Teatro Elfo Puccini, sala Shakespeare – Recensione

Vittorio Salvemini (Leonardo Capuano) è un imprenditore arrivato a Bari quando aveva ancora trent’anni e da quel momento ha costruito il suo impero costituito da appartamenti, centri residenziali, villaggi turistici, che vanno dal Gargano, attraversano vari paesi europei e arrivano fino in Tailandia. È un uomo iniquo, abituato a perseguire i suoi scopi al di fuori delle regole ricorrendo alla corruzione di autorità compiacenti per ottenere permessi in luoghi il cui terreno non permette l’edificazione. Lo vediamo in una mattina al ritorno dall’ospedale da dove era stato chiamato per riconoscere il cadavere della figlia Clara che era stata trovata nuda e coperta di sangue sulla statale Bari Taranto. La causa del decesso è quella del suicidio, almeno così risulta dalla certificazione dell’anatomopatologo. È questo l’incipit della commedia tratta dal romanzo omonimo di Nicola Lagioia del 2014, vincitore nell’anno successivo dei premi Strega e Mondello, portato in scena nell’adattamento di Linda Dalisi nel 2024 da Michele Altamura e Gabriele Paolocà e attualmente rappresentato al Teatro Elfo Puccini.

L’azione si svolge in un ambiente dell’abitazione della famiglia Salvemini costituito da una sala occupata in larga parte da un lungo tavolo e da sedie con una porta scorrevole di vetro che immette in uno spazio esterno avente la funzione di un cortile. Sulla destra della scena è posizionata una cabina nel cui interno è presente un narratore che registra un podcast sulla vicenda facendo da filo conduttore dei vari avvenimenti che sono molteplici e che si presentano non tutte in maniera cronologica ma sotto forma di tessere che sono da assemblare in una sorta di puzzle. Questo costituisce il punto di rilievo della rappresentazione che conferisce una dose di suspense incentrata soprattutto sull’individuazione della vera causa della morte di Clara che si adombra man mano di vari aspetti. Così gli episodi narrativi, anticipati in più punti dall’uomo in cabina e i diversi dialoghi, sono contrappuntati da monologhi che esprimono stati d’animo dei personaggi e narrazione di fatti vissuti nel passato. Esemplare, in tal senso, il drammatico e pregnante ricordo della moglie di Vittorio, Annamaria (Francesca Mazza) che comincia da quando inizia a trovare sul cappotto del marito qualche capello lungo, “sempre dello stesso tipo!” e arriva poi a scoprire l’esistenza dell’amante che resterà incinta per morire poi di parto mentre il figlio, Michele (Gabriele Paolocà), crescerà male accolto fino a diventare un adulto soggetto a cure psichiatriche e allontanato da casa per andare a lavorare come un modesto giornalista per varie testate nella capitale. Ai dialoghi e ai monologhi di alcune scene si inseriscono o sovrappongono in simultanea altri dialoghi recitati contemporaneamente che non disturbano la comprensione dei discorsi principali anzi l’arricchiscono di significati ulteriori.

Intorno a Vittorio Salvemini agiscono gli altri personaggi, tutti assoggettati al suo volere di uomo che impone la propria volontà con espressioni sprezzanti e feroci e atteggiamento patriarcale in particolare nel rapporto con la moglie. Quelli che devono misurarsi con la sua persona sono costretti a assecondarlo per ottenere i benefici desiderati diventando suoi complici come il figlio Ruggero (Michele Altamura), oncologo di professione per salvare le apparenze ma in realtà mediatore tra il padre e le autorità competenti a concedere dichiarazioni e permessi di comodo, o l’ignavo Alberto (Andrea Volpetti ), vedovo di Clara, o come l’ex sottosegretario alla Giustizia (Roberto Alinghieri) spesso commensale e adulato per le sue conoscenze. Estraneo agli intrighi è il figlio Michele che, quando ricompare dopo la morte di Clara, alla quale era sinceramente affezionato, e portando con sé l’amata gatta, si preoccupa di indagare sulla vera causa del decesso per scoprire alla fine realtà sconosciute solo apparentemente in quanto scomode e delle quali anche il padre si era reso complice. Uomini che occupano un territorio invaso da topi di fogne debellabili grazie all’istinto predatorio della gatta di Michele. Ma sarà possibile? E fino a che punto? Anche nel momento in cui Ruggero comunica al fratellastro che il loro padre è ormai prossimo alla morte e che lascerà una cospicua eredità?

La trasposizione sia drammaturgica che scenografica del libro di Nicola Lagioia è ricca di metafore. I caratteri delle due figure femminili si differenziano totalmente nei comportamenti. Annamaria, completamente asservita alla volontà del maschio, esemplare classico del patriarca, conosce l’importanza di “chiudere la menzogna in una cella frigorifera”, accetta frustrata il tradimento del marito. Clara, la quale non appare mai di persona ma è solo evocata, per amore di libertà si fece complice del padre e però per procurargli protezione da parte degli uomini potenti metteva a loro disposizione il proprio corpo. Unico rifugio a tanto malessere è la cocaina, droga imperante in un luogo senza morale, tanto da far dichiarare che “la cocaina è una benedizione”. Ben lo sa, in primis, lo “strafatto” anatomopatologo (Enrico Casale). La minimale scenografia di Daniele Spanò è ricca di elementi significativi. L’ambiente cucina, attraversata da una luce (di Giulia Pastore), fredda e lontana da ogni forma di accoglienza, è priva di arredi di valore quasi a voler nascondere una ricchezza posseduta, salvo poi la preoccupazione di Annamaria nel rimarcare più volte di non sporcare la preziosa tovaglia di fiandra. Su una parete c’è la riproduzione del quadro di Marx Ernst “L’Europa dopo la pioggia”, che secondo una dichiarazione di Gabriele Paolocà, è simbolo catastrofico dell’epoca attuale. Alte canne di palude vengono spostate in continuazione dall’interno all’esterno a significare situazioni melmose in cui sono immerse le speculazioni edilizie attuate. Determinante è, infine, la funzione della musica di Pino Basilefatta di suoni ossessivi, prima preparatori e poi di accompagnamento ai momenti più drammatici che procurano tensione e inquietudine. Un cast potente, di notevoli capacità interpretative, ottimamente diretto da Michele Altamura e Gabriele Paolocà, anche presenti in scena come interpreti, sa rendere al meglio il senso della ferocia del titolo della pièce in tutte le sue manifestazioni espressive, con due menzioni speciali per Michele Altamura che sa essere un Vittorio Salvemini prepotente, rabbioso e prevaricatore, e Francesca Mazza nel ruolo di una desolata e rassegnata Annamaria che si distingue nell’appassionante monologo centrale dove racconta del dolore sofferto per il tradimento e per l’umiliazione subìta dal comportamento del marito.

Alla prima di ieri sera nella sala Shakespeare, quasi completamente esaurita, la commedia è stata applaudita a lungo. Prossime repliche fino a domenica 13 aprile. In calce le INFO riportanti i crediti e le modalità per acquisto biglietti.

Visto il giorno 8 aprile 2025

(Carlo Tomeo)

Teatro Elfo Puccini | sala Shakespeare – 8 / 13 aprile

La ferocia ideazione VicoQuartoMazzini, dal romanzo di Nicola Lagioia – regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà – adattamento Linda Dalisi – con Michele Altamura, Leonardo Capuano, Enrico Casale, Gaetano Colella, Francesca Mazza, Marco Morellini, Gabriele Paolocà, Andrea Volpetti – scene Daniele Spanò – luci Giulia Pastore – musiche Pino Basile – costumi Lilian Indraccolo – consulenza artistica Gioia Salvatori – foto Francesco Capitani – produzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’InnovazioneElsinor Centro di Produzione TeatraleLAC Lugano Arte e CulturaRomaeuropa FestivalTric Teatri di BariTeatro Nazionale Genova

Teatro Elfo Puccini, sala Shakespeare, corso Buenos Aires 33, Milano – Orari: mart., merc., giov. ore 20.30 | ven. ore 19.30 | sab. ore 20.30 | dom. ore 16 – Prezzi: intero € 38/34 | <25 anni € 15 | >65 anni € 20 | online da € 16,50 – Biglietteria: tel. 02.0066.0606 – biglietteria@elfo.org – Whatsapp 333.20.49021

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