
Non c’è spazio per un dialogo tranquillo fra i due personaggi in scena: un lui e una lei che si presentano urlanti creando subito disagio negli ascoltatori. Le porte del male sono già aperte, il pubblico è avvertito. Siamo in un territorio cupo, reso anche claustrofobico a causa della location costituita dalle pareti di nudi mattoni che è quella della Cavallerizza, ora più che mai adatta a una rappresentazione in cui viene celebrata la crudeltà espressa nel delitto, anzi nei delitti, tanti sono quelli perpetrati dai potenti predatori che usano la ricchezza per procurarsi le prede e trarne godimento nell’ucciderle. Il male per il gusto di vedere il male, e questo è più aberrante.
Lo spettacolo è intitolato a Barbablù, il personaggio della fiaba di Perrault, preso solo come riferimento perché in realtà non appare mai in scena ma è solo evocato da Benedetta Brambilla e Sebastiano Sicurezza che indossano i panni di due testimoni, ispirati ai due gemelli del romanzo “Trilogia della città di K” di Ágota Kristóf. Eccoli quindi predisporre tendaggi formati da diverse strisce verticali di varie tonalità dal colore blu che occuperanno le pareti laterali e a trascinare poi un baule da cui estraggono stracci anch’essi di varie sfumature blu che invaderanno tutto il parterre. Un colore che per tradizione è associato all’acqua, quella stessa il cui gocciolìo insistente e amplificato invade l’aria creando inquietudine. Un blu che è associato anche al mistero, quello che si respira quando non tutto è ben definito e lascia spazio a qualsiasi ipotesi su quanto accadrà. Si stendono su quell’ammasso di panni, simboli di “barbabluismo” così viene definito dai due, e sembrano crogiolarvisi, ma poi si ritrovano in piedi in posizione protesa l’uno contro l’altra, pronti a sostenere un incontro di wrestling in contrasto con il pensiero della mamma secondo la quale per irrobustire il corpo è necessario irrobustire prima la mente. Lui racconta dell’uomo nero nascosto in un armadio che a volte esce alla ricerca di bambini da smembrare per farne la pietra filosofale. E qui il riferimento non è alla fiaba di Perrault ma alla trama del libro “Barbablù. Gilles de Rais e il tramonto del Medioevo” il cui protagonista è un ricco nobile francese che aveva combattuto al fianco di Giovanna d’Arco, accusato e condannato per la tortura, lo stupro e l’uccisione di un gran numero di bambini. E intanto una famosa filastrocca fintamente rassicurante commenta il suono dell’Inno alla gioia di Beethoven “Ninna nanna, ninna oh/ questo bimbo a chi lo do? / Lo darò all’Uomo Nero/ Che lo tiene un anno intero”.

Giovanna d’Arco è il nome della gallina che di notte dormiva con il nonno e che di giorno, dopo aver fatto l’uovo, lo beccava fino a romperne il guscio e mangiarne il contenuto. Metafora della fame che va saziata con azioni fuori regola. Con il suono del primo movimento della Quinta Sinfonia di Beethoven (ancora Beethoven), che nell’adattamento disco di Walter Murphy e la Big Apple Band impone un taglio grottesco, viene raccontata la fine della vita di Barbablù per come è descritta nella fiaba, ma questa è solo apparente perché il grido finale è che Barbablù non può morire, perché “il suo nome vero sono io” grideranno i due sulle noti struggenti del bandoneon di “Tango volvèr” di Carlos Gardel suonate da Claudio Constantino. Il discorso quindi si allarga perché il male operato da Barbablù è metafora dei mali più estremi compiuti dall’umanità tra i quali sono annoverati i crimini di guerra. Una soluzione sembra apparire ma è da interpretare: “Tutte le porte si possono aprire basta avere la chiave”, diceva la mamma. E la frase è ricordata con speranza dai due testimoni interpretati dai due bravissimi interpreti che, sotto la guida magnifica e perfetta del regista Michele Losi, si donano anima e corpo senza risparmiarsi a un pubblico che li ha applauditi calorosamente.
Spettacolo di notevole valore per la tematica trattata e per come è stato portato in scena, meritevole di essere visto anche una seconda volta per meglio coglierne tutti i significati contenuti. Repliche fino a domenica 9 marzo. Nelle NOTE in calce sono riportati i crediti, le modalità di acquisto biglietti e alcune date della tournée.
Visto il giorno 5 marzo 2025
(Carlo Tomeo)
MTM La Cavallerizza – dal 4 al 9 marzo 2025, ore 19,30 – anteprima Nazionale
BARBABLU’ regia Michele Losi – in scena Benedetta Brambilla e Sebastiano Sicurezza –
drammaturgia Sofia Bolognini – scene e costumi Michele Losi e Annalisa Limonta –
suono Luca Maria Baldini e Stefano Pirovano – luci Stefano Pirovano e Alessandro Bigatti –
produzione Campsirago Residenza – con il sostegno di NEXT – Laboratorio delle idee per la produzione e la programmazione dello spettacolo lombardo – Edizione 2024/2025 – foto Alvise Crovato
intero 18,00€, scuole civiche Fondazione Milano, Piccolo Teatro, La Scala e Filodrammatici € 11,00 – Scuole MTM € 10,00 – ridotto DVA € 9,00 – tagliando Esselunga di colore VERDE – durata dello spettacolo: 60 minuti – Info e prenotazioni biglietteria@mtmteatro.it – 02.86.45.45.45
I biglietti e gli abbonamenti sono acquistabili sul sito www.mtmteatro.it e sul sito e punti vendita vivaticket.it. I biglietti prenotati vanno ritirati nei giorni precedenti negli orari di prevendita e la domenica a partire da un’ora prima dell’inizio dello spettacolo. I posti non sono numerati, non è consentito l’accesso in sala a spettacolo iniziato.
Date del tour:
16 marzo 2025: Teatro Comunale di Antella (FI)
5 maggio 2025: Teatro Bruno Munari di Milano
Luglio 2025: XXI Edizione de Il Giardino delle Esperidi Festival
Dall’autunno 2025: sarà in scena al Teatro Comunale Corsini di Barberino di Mugello, al complesso S. Chiara di Trento, al Teatro di Loreto di Bergamo, al Festival Teatro d’aMare di Tropea, in diversi teatri in Lombardia, tra cui TECA – Teatro Cassanese, nello spazio Teatro Studio del Teatro del Lemming a Rovigo e al Teatro Anzani di Satriano di Lucania.
