“Il gioco delle parti” al Salone Pacta – Recensione

C’è un po’ di Pirandello in questo periodo nei teatri milanesi: dopo i “Sei personaggi in cerca d’autore” con la regia di Valerio Binasco visto la settimana scorsa al Piccolo teatro Strehler e in vista delle letture di testi vari che Giorgio Pasotti farà al Teatro Oscar, ieri sera ho assistito a “Il gioco delle parti” che era stato rappresentato al Pacta Salone dal 22 novembre al 15 dicembre in prima nazionale per la regia di Paolo Bignamini e che è stato ripreso dallo stesso teatro per un’unica serata in rappresentanza dell’Italia nell’ambito del Festival teatrale biennale transnazionale Clashing Classics Multilingualism on Stage che vede PACTA collaborare con l’Université e Archipel Théâtre di Avignone, Multiculturalcity e V. di Berlino e IULM di Milano. La messa in scena di ieri era in collegamento streaming con Theater im Delphi di Berlino e il Theatre du Chapeau rouge di Avignone.

“Il gioco delle parti” voluta da Magherini non è la pedissequa rappresentazione del testo pirandelliano (l’apostrofo “da” sostitutivo del “di” che precede il nome dell’autore è un indizio chiarificatore) perché, pur restando fedele per buona parte al testo, sono stati apportati citazioni ed elementi riguardanti alcuni dialoghi tratti dalla novella “Quando si è capito il giuoco” apparsa sul “Corriere della sera” il 10 aprile 1913, e che lo stesso Pirandello aveva utilizzato per sviluppare il lavoro teatrale. Esemplare in tal senso è uno dei momenti iniziali della pièce che vede il personaggio di Leone Gala mentre sfoglia un libro il cui autore è Memmo Viola, il protagonista della novella citata. Anche il titolo della commedia ha subìto una piccola variazione: è scomparsa la “u” nella parola del titolo che da “giuoco” è diventata “gioco”. Quella “u” mancante è pronunciata all’inizio con un suono prolungato e marcata irrisione da Leone per meglio precisarne l’assenza. La triade dei personaggi che si affrontano nella vicenda è formata da Leone Gala (Riccardo Magherini) un uomo razionale che, per essere lasciato libero nella sua filosofia di vita, asseconda il prossimo nei suoi desiderata tanto da lasciare che la moglie Silia viva in una altra casa dove possa ricevere il suo amante Guido Venanzi. La donna è ferita dal comportamento indifferente del marito fino al punto di arrivare a odiarlo e a cercare di organizzarne la morte. Di contro anche l’uomo ha un suo tormento interiore che nasconde dietro una maschera sprezzante e un atteggiamento troppo gioviale per essere realmente genuino. Si toglierà brevemente la maschera nel momento in cui si porterà con la moglie sul proscenio per stringerle le mani al collo e torturarla verbalmente. A velare l’impresa, o forse a valorizzarla di più grazie all’apporto diretto delle luci, una rete trasparente di dispone davanti ai due corpi.

Annig Rimondi e Riccardo Magherini © Emma Terenzio

Una scena essenziale che comprende un lungo tavolo sul quale sono collocate diverse bottiglie colorate contenenti svariati tipi di liquori (Chartreuse, Pernod… ) i cui nomi vengono pronunciati da Guido mentre compone un cocktail da offrire a Silia che, accovacciata su una poltroncina e avvolta in uno scialle, mostra malumore perché sa che sta per arrivare il marito, cosa che l’uomo fa tutte le sere in una visita di mezz’ora, necessaria per assecondare le esigenze della moralità borghese. Gli altri elementi d’arredo sono un fioretto con la maschera necessaria ai tornei di scherma inseriti in un apposito alloggiamento, che si rivelerà importante nel finale, un’ulteriore poltroncina accanto al tavolo e una grande specchiera. La voce diffusa di Joe Dassin canta “Et si tu n’existais pas”, dal testo che contiene il sapore di un’ironia beffarda, disfunzionale all’azione vissuta sulla scena (“Et si tu n’existais pas / dis-moi pourquoi j’existerais / pour traîner dans un monde / sans toi, sans espoir et sans regret”). Guido si crogiola nel suo tran tran in cui è libero di godere delle cose che più ama, in primis l’arte culinaria a cui si dedica con l’aiuto del cameriere Filippo, chiamato Socrate. Lo vediamo mentre sbatte in una ciotola uova e altri ingredienti, gridando all’aiutante, al quale lo stesso Magherini dà voce, di non fermarsi perché altrimenti “la salsa impazzisce”. Arriva Silia e il dialogo tra loro si svolge attraverso un valzer grottesco sulla voce di Jacques Brel che canta “La valse a mil temps” e le parole della canzone hanno il sapore di un oltraggio. E ancora Jacques Brel intona “La chanson des vieux amants” un testo che non può che avere un valore ironico perché il sentimento d’amore è bandito da tempo.

Annig Rimondi e Alessandro Pazzi © Emma Terenzio

Alla fine Leone sfiderà formalmente l’uomo che ha oltraggiato Silia ma lo farà solo in qualità di marito ufficiale della donna ma chi poi si batterà veramente a duello dovrà essere Guido, il marito di letto effettivo. In questo modo tutti e tre i personaggi coinvolti avranno recitato la parte che viene loro richiesta dalla società. Guido resterà ucciso, a raccoglierne il cadavere saranno i due coniugi che lo depositeranno sul tavolo che indietreggerà insieme a loro con Leone che affilerà rumorosamente i lunghi coltelli e Silia che muoverà parossisticamente le braccia in una sorta di danza macabra. A commentare la lugubre scena la voce di Jacques Brel campionata in “La chanson des vieux amants” in un’ossessiva versione remixata.

Visto il 3 marzo 2025

(Carlo Tomeo)

PACTA Salone

Il gioco delle parti da Luigi Pirandello – drammaturgia e regia Paolo Bignamini con Riccardo Magherini, Annig Raimondi, Alessandro Pazzi – costumi Nir Lagziel – disegno luci Fulvio Michelazzi (AILD) – costruzione scene Eliel Ferreira de Sousa – assistente alla regia Anna Germani – produzione PACTA . dei Teatri in collaborazione con il progetto vincitore del bando UE CREA-CULT-2023-COOP TraNET (Trans)National European Theatre: audiovisual tools and simultaneous interpreting for the internationalisation of theatre production and consumption I Festival Biennale Europeo CLASHING CLASSICS. Multilingualism on Stage

Categorie RECENSIONI

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