“Bellezza Orsini. La costruzione di una strega” al Teatro Gerolamo di Milano – Recensione

Ho visto ieri al Teatro Gerolamo un emozionante spettacolo che racconta un episodio di accusa e condanna per stregoneria avvenuto a Fiano Romano nel 1528 e di cui fu vittima Bellezza Orsini, figlia naturale di Pietro Angelo degli Orsini, padroni del feudo di Monterotondo. Ne sono Interpreti Maria Cristina Gionta nel ruolo della protagonista e Luca Negroni in quello del notaio avente anche la funzione di accusatore e che, torturandola, l’interroga per farle ammettere la veridicità delle accuse mossele. La donna è legata ai polsi con corde che vengono tirate a tratti, e più fortemente nei momenti delle domande cruciali, per indurla a confessare. In una scena essenziale appaiono, sospese dall’alto, corde similari che simbolizzano (e testimoniano) il mezzo di tortura utilizzato in quegli anni dalla chiesa perché, pur inducendo forte dolore fino allo slogamento dei polsi, non provocavano spargimento di sangue.

A scrivere la drammaturgia dello spettacolo e a curarne la regia è Silvio Giordani, che ne ha tratto spunto dal testo “Bellezza Orsini. La costruzione di una strega (1528), Roma nel Rinascimento” dell’archivista Michele Di Sivo pubblicato nel 2016, e che ha anche approfondito visitando direttamente in più riprese l’Archivio di Stato per consultare i documenti originali dell’epoca.

Nella rappresentazione si assiste a quelle che sono le fasi più drammatiche dell’interrogatorio che si fanno sempre più cruente nei momenti in cui la donna cerca di difendersi strenuamente negando di essere una strega e raccontando che lei aveva fatto solo del bene grazie a un libro di 180 fogli, “tucti li secreti del mondo” consistente nelle indicazioni per guarire da ogni malanno e che le era stato fatto leggere da una donna più grande di lei, Lucia De Lorenzo da Ponzano. Per Bellezza la stregoneria è la conoscenza della natura e della scienza: più cose impari e più ne vuoi imparare ancora, “più vai innanz e più vuoi ire”. A contrapporsi alla sua accesa difesa esposta in dialetto sabino medievale del ‘500 c’è quella implacabile in latino dell’uomo che non concede tregua e che stringe sempre più fortemente le corde legate ai polsi della donna. Sono i momenti più drammatici dell’interrogatorio e, quando la stretta della corda si fa più forte, la settima, Bellezza non potendo più sopportare il dolore, urla “ditemi quale verità volete e io vi dirò” e confessa, sì, di essere una strega.

La semplice confessione, però, non basta all’accusatore che vuole indagare più a fondo per meglio trovare le prove di colpevolezza ma in realtà per appagare pruriti inconfessabili e per questo la donna finisce per confessare di aver partecipato più volte ai sabba in onore del Diavolo che venivano organizzati di notte al noce verso Benevento sotto la guida della maestra chiamata Befania e di aver inoltre insegnato ad altre donne come diventare streghe. E qui Maria Cristina Gionta entra ancora più fortemente nell’humus dell’azione dove il personaggio è preso da esaltazioni nell’evocare episodi mai vissuti e solo immaginati e resi credibili per evitare altre torture. Al termine arriva la condanna ma prima le viene concesso di scrivere le sue confessioni in un quaderno scritto in italiano volgare ora conservato nell’Archivio di stato e che è stato fonte del testo di Di Sivo.

Al termine l’attrice avanza verso il pubblico, dichiara le sue generalità e si rende libera dai nodi delle corde che per tutto il tempo dell’interrogatorio e della tortura le avevano stretto i polsi. Gesto simbolico, oltre che reale, di liberazione seguito da quello estremo in cui si trafigge il collo con un chiodo che sancisce la scelta di darsi la morte per non sottomettersi a quella voluta e pronta a essere praticata da chi l’aveva condannata ingiustamente.

Operazione impegnativa, degna di lode, quella di Silvio Giordani per la ricostruzione storica della vicenda resa in un atto unico di poco più di un’ora, intenso, che non concede tregua allo spettatore, tanta è la drammaticità della vicenda da assumere quasi il ritmo del teatro di genere giudiziario che, pur conoscendo in anticipo tutto l’andamento fino al finale, non perde in suspence. Questo grazie ai due interpreti: Maria Cristina Gionta, che per questa interpretazione entrò in nomination nella terna del premio Le Maschere del Teatro Italiano 2023 come migliore interprete di monologo, è completamente immersa emotivamente nel personaggio che è chiamata a rappresentare rivelandone per gradi le varie sfaccettature del carattere. Accanto a lei, Luca Negroni sa impersonare magnificamente l’inesorabile inquisitore che non concede tregua alla donna che, si intuisce, è già condannata in partenza (l’interrogatorio all’epoca era solo un pro forma e la persona in genere confessava perché la tortura si faceva sempre più stringente e dolorosa). Ad accompagnare i due artisti sono le musiche eseguite dal bravo Emiliano Ottaviani, anche lui vestito con abiti medievali. Al termine dello spettacolo il pubblico presente ha manifestato un largo consenso e Maria Cistina Gionta in particolare si è mostrata visibilmente commossa.

Visto al Teatro Gerolamo il 26 gennaio 2025

(Carlo Tomeo)

BELLEZZA ORSINI. La costruzione di una strega” dal testo di Michele Di Sivo
con Maria Cristina Gionta e Luca Negroni
musiche dal vivo di Emiliano Ottaviani
drammaturgia e regia Silvio Giordani
disegno luci Marco Macrini | costumi Sorelle Ferroni | produzione Centro Teatrale Artigiano.

Categorie RECENSIONI

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