
© Manuela Giusto
RECENSIONE:
In un albergo anonimo di Ostenda nella notte di Capodanno si presenta un anziano signore che reca con sé una valigia dalla quale non vorrà separarsi per tutta la durata della sua permanenza. Rifiuta l’offerta di una camera e preferisce aspettare nella hall, dichiara di essere in attesa del direttore del teatro di Flensburg che, per festeggiare il il bicentenario del teatro, gli ha proposto di interpretare il “Re Lear”, che riconosce essere “l’opera drammatica più importante della letteratura universale” e che è rimasta l’interpretazione migliore della sua carriera tanto da recitarla tutti i mesi davanti a uno specchio.
Sono trent’anni che non recita più in pubblico e trentadue che manca da Ostenda. Si siede su una poltrona e parla ai presenti: il receptionist e una donna allungata su un canapè e che beve champagne. Ricorda l’ultima volta che era venuto in città, ne ha ritrovato il freddo di allora e nota come non è cambiato nulla nell’attuale ambiente, compreso l’angolo dove aveva incontrato Ensor, l’uomo che gli aveva fatto la maschera dell’eroe shakespeariano ora nascosta nella valigia e pronta a essere da lui indossata durante la recita.
Si presenta, il suo nome è Minetti, e confessa che interpretare il Lear ancora una volta “è per lui un avvenimento cruciale”. Quarant’anni prima era stato direttore del teatro di Lubecca dove era costretto a interpretare solo testi classici ma ammette di odiare “tutto ciò che è classico, eccetto il Re lear” e per questo fu destituito e scacciato a Dinkelsbühl. Ora è pronto per quella che potrebbe essere la sua ultima presenza in scena.
Gli astanti non mostrano particolare interesse a quanto dichiarato dall’uomo che continua nel suo soliloquio che ha il sapore di una confessione dove espone tutto il suo pensiero in merito all’arte letteraria, al rapporto tra autore e attore (“L’attore si accosta allo scrittore e lo scrittore distrugge l’attore esattamente come l’attore distrugge lo scrittore” E quando l’uno fa i conti con l’altro la natura impazzisce). L’arte drammatica è vista come scopo dell’esistenza della società e alla quale lui si era votato pur considerandola un’idea folle.
A tratti personaggi ridanciani e urlanti che festeggiano il Capodanno indossanti abiti scuri e maschere di lepre irrompono da un sipario sul fondo, soluzione questa, di grande effetto visivo dovuta alla scenografa Marta Crisolini Malatesta, e arrecano un senso di vacuità in contrasto ai discorsi impegnativi dell’attore che continua il suo racconto. E Minetti, incurante di quanto gli accade intorno, va avanti con le sue tristi considerazioni esistenziali. “La vita è una farsa che i furbi chiamano esistenza” e, ricordando il suo atto di ribellione contro l’immobilismo di una società che non voleva affrontare le novità dell’opera d’arte, conclude “Guai a chi osa agire di testa sua contro la società e contro l’opinione pubblica”.
L’attesa del direttore del teatro si prolunga, Minetti, novello Vladimiro ed Estragone fusi in una persona sola, attende sempre il direttore del teatro che lo aveva convocato e che tarda ad arrivare. Ma la convocazione era veramente avvenuta? A un certo punto la donna che prima era assisa sul canapè viene sostituita da una ragazza che attende il fidanzato diciassettenne e a lei l’attore si rivolge aprendo la sua valigia dalla quale escono ritagli di giornali dove sono riportate le recensioni dei suoi spettacoli del passato. E sempre dalla valigia trarrà la maschera che rappresenta il volto di Lear.

© Manuela Giusto
Il tema della maschera è ricorrente in tutta la pièce. Non solo Minetti ne ha una pronta a coprirgli il volto, a indossarne una da scimmia è la donna che beve champagne, così come ne fanno uso per nasconderne le loro sembianze i festeggianti il Capodanno, e per tutti rappresentano simboli dei loro stati mentali nascosti.
“I personaggi di Bernhard si distinguono per l’insistenza con cui viene loro negato ogni residuo di calore, per il grado zero dell’atmosfera in cui si muovono” (così Eugenio Bernardi nel suo saggio “La verità della menzogna”, introduttivo al volume Teatro II di Thomas Bernhard, ediz. Einaudi, 2015) e il regista Andrea Baracco ha saputo coniugarne appieno il concetto e non solo metaforicamente (si pensi al suggestivo finale in cui Minetti viene ricoperto dalla neve), esaltando i vari aspetti della poetica dell’autore, che, nel suo essere formalmente e nello stesso tempo caustica e ironica, tagliente e satirica, descrive la condizione d’imperfezione dell’essere umano. Lodevole la proposta del testo nella sua veste integrale, tradotta integralmente da Umberto Gandini.
È appena il caso di annotare che il titolo del testo fu scelto da Bernhard in omaggio all’attore tedesco Bernhard Theodor Minetti (1905/1998) e l’autore della maschera per la recita del Re Lear, e che Minetti ritiene essere butta (“la maschera più orrenda che sia mai stata fatta”), è James Ensor, il pittore belga morto nel 1949.
Glauco Mauri ha ancora una volta saputo utilizzare al meglio la sua lunga e prestigiosa carriera per dare voce e corpo per la prima volta a un testo di Bernhard toccando i vari aspetti psicologici del personaggio che si distingue con note di drammaticità, pathos, sarcasmo, ironia, suscitando emozione e commozione. Ed è stato lungamente applaudito con ovazioni dal pubblico di sala insieme ai suoi comprimari. Repliche fino al giorno 28 gennaio.
Visto il giorno 23 gennaio 2024
(Carlo Tomeo)
Interno Bernhard
Minetti. Ritratto di un artista da vecchio
di Thomas Bernhard
traduzione di Umberto Gandini
con Glauco Mauri
e con Stefania Micheli, Federico Brugnone, Danilo Capezzani, Francesca Trianni, Pietro Bovi, Giuliano Bruzzese
regia Andrea Baracco
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
musiche Giacomo Vezzani, Vanja Sturno
luci Umile Vainieri
produzione Compagnia Mauri Sturno
Piccolo Teatro Strehler (largo Greppi – M2 Lanza), dal 23 al 28 gennaio 2023
Prezzi: platea 33 euro, balconata 26 euro
Informazioni e prenotazioni 02.21126116 – www.piccoloteatro.org
