
L’ALBERO
scritto e diretto da Giulia Lombezzi
con Alice Bignone, Ermanno Rovella, Camilla Violante Scheller
disegno luci Fabrizio Visconti
Testo vincitore del premio Scena&poesia 2018, del premio Anima Mundi 2019 e menzione speciale al premio Calindri 2019
RECENSIONE
Il tema della commedia è quello che riguarda il problema dell’invecchiamento e della mancanza di autosufficienza delle persone anziane. Non a caso la scrittrice Giulia Lombezzi ha dichiarato di averne scritto la storia perché ha paura d’invecchiare. La protagonista è l’anziana Annabella che accusa i classici segni di demenza senile e per questo viene condotta in un ospizio dalla madre. Ormai non esiste più un dialogo razionale tra le due donne. Annabella si ritrova in un luogo sconosciuto e vive in un mondo tutto suo, lontano da quello che conosceva e che ricorda solo a tratti, come brevi flash di una memoria che appare sempre più labile. La figlia che l’ha accompagnata nell’ospizio l’affida all’infermiere Martino, cercando di farle capire che il nuovo luogo dove lei vivrà è molto bello e sicuro per la sua incolumità. Inoltre le dichiara con gioia di essere proprio contenta che starà in una camera che affaccia nel giardino, proprio davanti a un bell’albero. “Pensa che brutto se capitavi davanti al muro!” le dice, facendole capire quanto sia stata fortunata a essere venute proprio quel giorno: se fossero venute in uno dei giorni successivi non avrebbero avuto quella fortuna! Annabella però sembra non comprendere, il suo sguardo è smarrito e sembra attento a scrutare lontani orizzonti che le ricordano qualcosa di impreciso e che lei mostra di sforzarsi nel riconoscerli. Ammette, con voce stentata, che in casa doveva stare attenta a come si muoveva perché cadeva un giorno sì e uno no e quindi la figlia cercava di farla sedere per ore su una poltrona e, se faceva il sugo, doveva farlo stando seduta.
La figlia che l’ha accompagnata all’ospizio le parla attraverso un megafono, reale nella messa in scena ma simbolico della sua funzione perché è metafora di come Annabella, pur essendo ancora udente fisicamente, non lo è più nell’ascolto di quanto le possa venire comunicato.
Avvolta in una lunga veste bianca è lasciata alle cura di Martino che lei all’inizio rifiuta, specialmente durante il momento della vestizione perché non comprende del perché, lei donna, debba essere vestita da un uomo, ma poi comincia ad abituarsi alla sua presenza, anche se continua a mostrarsi assente e si abbandona a un discorso tutto suo rivolto a persone assenti. Martino, che ha preso confidenza con la presenza della donna, inizia a sua volta a parlare con la donna, raccontando la propria attrazione per la collega Jessica. Quello che sembra un dialogo diventa un raccontare se stessi a persone altre.
La lunga veste nella quale la donna viene avvolta assume di volta in volta diverse funzioni simboliche: stretta intorno al corpo diventa quasi una fasciatura da neonato, allungata sul pavimento può apparire come un letto, fatta aderire al corpo in maniera larga è un vestito giornaliero, addirittura può richiamare un sudario. In ogni caso la donna la subisce perché a costringerla a indossarla sono la figlia e Martino che ne tengono in mano i lembi e ne dirigono le modalità d’uso.
L’albero è l’unico elemento con il quale Annabella possa comunicare con il suo linguaggio verbale e non, perché infonde sicurezza grazie alla sua presenza immutabile.
Una madre anziana che non è più in grado di badare a se stessa e una figlia che, paradossalmente per necessità, si sveste dell’abito di figlia per indossare quello della madre severa di sua madre, in modo da potersene prendere cura meglio. Ma questo prendersi cura, nella sua severità, in realtà ha l’aspetto di un abbandono e solo alla fine viene a galla, proprio grazie allo stato mentale alterato di Annabella, una forma di riappropriazione dei rispettivi ruoli.
La regia di Giulia Lombezzi è stata bene attenta al tema trattato nella commedia che non è sempre triste perché, come avviene nella realtà, contiene momenti tragicomici che qui affiorano soprattutto all’inizio.
Bravissimi i tre attori lungamente applauditi, da un pubblico che ha molto apprezzato.
Visto il 5 Dicembre 2021
(Carlo Tomeo: diritti riservati)
La commedia resterà in scena allo Spazio Ariberto fino al 12 Dicembre 2021.
Per info e prenotazioni biglietteria@spaziotertulliano.it oppure 320/6874363
(Carlo Tomeo: diritti servizi)
In scena il 4,5,9,10,11,12 dicembre, ore 20,30
Per info e prenotazioni biglietteria@spaziotertulliano.it oppure 320/6874363