“Alcesti – una donna” all’MTM Teatro Litta – recensione

MTM Teatro Litta – Prima Nazionale

ALCESTI – UNA DONNA

da Euripide – una riscrittura di Filippo Renda – regia Filippo Renda

con Beppe Salmetti, Filippo Renda, Irene Serini, Luca Oldani

scene e costumi Eleonora Rossi suono Dario Costa –  luci Fulvio Melli

consulenza scientifica Maddalena Giovannelli – Fotografia manifesto Sara Meliti

direttore di produzione Elisa Mondadori

con il contributo di NEXT 2021 – produzione Manifatture Teatrali Milanesi/in collaborazione con IdiotSavant

RECENSIONE

Alcesti è la più antica delle tragedie di Euripide che sia a noi pervenuta ed è l’ultima di una tetralogia le cui prime tragedie ci sono giunte solo in frammenti. Nel teatro greco le tetralogie erano costituite da tre tragedie alle quali faceva seguito un dramma satirico, studiato apposta per inviare gli spettatori alle loro case con l’animo più “rilassato” e fugare il senso di tristezza che le prime tre tragedie aveva loro infuso. Nell’epoca moderna Alcesti, tuttavia, è stata considerata anch’essa una tragedia a causa della drammaticità della storia narrata, nonostante il lieto fine, atipico in una tragedia vera e propria. L’intento satirico, annunciato comunque dal prologo recitato da Apollo, che in questa messa in scena non appare, è smorzato se non in alcuni brevi momenti quando per esempio Creonte gozzoviglia nella casa di Admeto.

Filippo Renda ha completamente riscritto la tragedia trasformandola in un dramma moderno e cogliendo in questo modo i significati più salienti dell’opera che nella tragedia greca sarebbero stati considerati atipici: il ruolo della donna, il conflitto tra le generazioni, il tema politico della tirannia esercitata da un governatore che privilegiava la ricca borghesia ai danni di un popolo non abbiente e che tuttavia era abituato a quella vita perché vi era assoggettato da un destino avverso decretato dagli dei.

La scena fissa è costituita da due scuri panneggi che costituiscono un fondale nel mezzo del quale c’è una stretta apertura che, durante la recitazione, serve a introdurre e a far uscire gli attori di volta in volta. Nel mezzo del proscenio una base appena più alta, a mò di pulpito, che serve a un unico attore, in questo caso Filippo Renda nei panni del coro, il quale si rivolge al popolo costituito dal pubblico presente in sala per raccontare i fatti dolorosi della vicenda che si svolgerà sul palcoscenico. Momento saliente dell’introduzione è il racconto della tirannia esercitata da Admeto, re di Fere, sul popolo e qui c’è il significato politico che il regista attribuisce all’opera. Ed è anche qui che la tragedia acquista più apertamente il senso di un dramma, comprensibile nella nostra epoca, dove l’uomo può esercitare il libero arbitrio, a differenza di quello dell’antichità, soggetto alla volontà indiscussa del fato.

I personaggi della recita sono costituti dal coro, da Alcesti, dal marito Admeto, da suo padre Ferete e da Creonte nei panni di un soldato, amico e protettore di Admeto. il quale aveva ottenuto che la sua morte fosse rimandata, grazie all’intervento avuto dal dio Apollo che l’ottenne dalle Moire. Costoro accettarono purché Admeto avesse trovato chi lo avrebbe sostituito nella dipartita. Admeto contava sul fatto che l’anziano padre, avendo vissuto abbastanza, avrebbe accettato di buon grado di sacrificarsi per il figlio, ma ciò non avvenne e così a decidersi al sacrificio fu Alcesti, che in questo modo sentiva di coprire il proprio senso di colpa per avere in passato ucciso il padre, su istigazione della madre.

Dopo l’introduzione di Renda/Coro il primo punto saliente della messa in scena è costituito dal dialogo che si svolge tra Alcesti e l’addolorato Admeto che non vorrebbe il sacrificio di sua moglie ma che, tuttavia, si guarda bene dal rifiutare l’abnegazione dimostrata dalla donna, la quale ha già ingurgitato il veleno che le darà la morte, dopo essersi fatta promettere dal marito che egli non si sarebbe mai più risposato per non dare una matrigna ai due figli che rimarranno orfani di madre. Alcesti alla fine, presa in braccio da Admeto, scompare attraverso l’uscita del fondale.

La storia prosegue secondo la trama di Euripide ed essenziale è il momento in cui avviene lo scontro tra Admeto e suo padre Ferete: il primo rimprovera il padre di non aver accettato di morire al posto di Alcesti, il secondo rivendica il suo diritto alla vita, nonostante la tarda età. Il conflitto tra i padri e i figli viene rappresentato da Renda in maniera accesa, che abbandona i canoni tradizionali della tragedia greca per trasformarla in un dramma moderno, più incisivo, dove il pensiero dell’uomo viene espresso in toni violenti.

Sarà poi l’intervento risolutivo del soldato amico del re, e che in Euripide è Creonte, a risolvere il dramma dandogli un lieto fine: Alcesti sarà salvata, tornando dall’Ade grazie al soldato che l’avrà strappata dalle mani di Thanatos, e potrà ricongiungersi al marito.

Tutta l’operazione di riscrittura operata da Renda è decisamente proficua perché modernizza la tragedia di Euripide dal punto di vista tematico e semantico adattandola soprattutto a un dramma moderno e rendendola maggiormente fruibile al pubblico di oggi. Inoltre è ricca di quei temi che non sarebbero stati comprensibili nell’antica Grecia: per esempio il tema della tirannia di chi detiene il potere assoluto. La riscrittura ha inoltre il merito di essere ricca di simboli che portano alla luce temi importanti, anche dolenti. La figura della donna vista nel suo ruolo di persona soccombente e votata al sacrificio che sembra essere scomparsa ai nostri giorni ed è spesso ancora presente in tante situazioni. (Admeto, pur dimostrando dolore per la morte incipiente della moglie tanto amata, non rinuncia al fatto di voler vivere e accetta che lei si sacrifichi al suo posto, dimostrando così il suo egocentrismo). Il conflitto esistente tra i padri e i figli è reso particolarmente cruento negli accenti verbali dell’alterco tra Admeto e suo padre. La scura parte di separazione che si trova in mezzo ai due fondali non ha solo la funzione di entrata e uscita degli attori (che peraltro, nel caso del soldato/Creonte o di Ferete avviene più volte attraverso la platea): quello spazio rappresenta anche l’entrata e l’uscita verso l’Averno e infatti è da lì che Alcesti esce da morta in braccio al marito, per poi rientrare in piedi e accompagnata dal soldato/Creonte.

Spettacolo di largo respiro, quindi, nonostante la sua brevità, che è fonte di riflessione per i motivi più vari. Lo stesso titolo che dall’originale “Alcesti” diventa “Alcesti – una donna” è pregno di significato. Come lo è il ritorno della donna alla vita quando ritorna dall’ Averno dove appare quasi assente e non del tutto lieta nel riprendersi la vita.

Filippo Renga ha dato il meglio di sé sia come drammaturgo che come regista e attore. Irene Serini, nel doppio ruolo di Alcesti e di Ferete ha premiato il pubblico con la sua ottima recitazione che è stata volutamente quasi estraniante nella parte di Alcesti e più incisiva in quella di Ferete. Beppe Salmetti ha brillato nella parte di Admeto così come Luca Oldani ha convinto decisamente nella multiforme recitazione del soldato/Creonte.

Teatro pieno, soprattutto da parte di giovani spettatori che hanno dimostrato di apprezzare la messa in scena con ripetuti applausi. Diverse le chiamate in scena. Ne consiglio vivamente la visione.

Visto il 19 novembre 2021

(Carlo Tomeo)

In scena all’MTM Teatro Litta fino al 28 novembre

Info e prenotazioni biglietteria@mtmteatro.it – 02.86.45.45.45

Categorie RECENSIONI

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