“Il gioco dell’amore e del caso” al Teatro Litta – Recensione

Al Teatro Litta è in scena Marivaux con una commedia che vede due coppie impegnate in una serie di azioni che si ingarbugliano nella ricerca di una verità che fatica a rivelarsi a causa di equivoci e macchinazioni mal condotte. Protagonisti sono Silvia (Francesca Massari) e Dorante (Francesco Martucci), nobili promessi sposi che non si conoscono ancora, e i loro rispettivi servitori, Lisetta (Jasmin Monti) e Arlecchino (Filippo Renda). Attento e discreto osservatore è Orgone (Gaetano Callegaro), il padre di Silvia, che solo alla fine interverrà per risolvere ogni controversia.

È questo il gioco dell’amore e del caso (“Le jeu de l’amour e du hasard”) ma che è anche il gioco dell’essere e dell’apparire con le conseguenze che questo può comportare. Tutto ha inizio quando Silvia e Dorante indossano gli abiti dei loro servitori per scoprire la vera natura dei loro promessi e saggiarne così le buone intenzioni. I servitori sono obbligati a stare al gioco per accontentare i rispettivi padroni e tutti e quattro, i primi volontariamente, i secondi perché costretti, iniziano la loro avventura finalizzata alla conoscenza reciproca dell’altra/o. Ma, dietro a quello che sarebbe dovuto essere un gioco, c’è l’imprevisto e il gioco del caso porta all’azzardo e alla caduta, quel “tomber amoureux” tanto amato da Marivaux nelle sue commedie. E, osservando l’etimologia delle due parole “hazard” e “caso”, si comprende come, spingendolo troppo, il gioco dell’apparenza diventa azzardato portando la persona alla caduta (d’amore, il va sans dire).

Le convenzioni teatrali del ‘700 viste oggi così come le vedevano i francesi di quasi tre secoli fa. A dominare la scena dall’alto il grosso cartonato di uno scimmione dal colore che passa dal rosso (la vitalità) al fucsia (la creatività) a seconda dell’intensità delle luci mentre osserva le schermaglie amorose dei protagonisti che si muovono sul palcoscenico. Il primate ha sugli occhi una maschera che richiama quelle che nei costumi e nelle personalità sono indossate dai quattro personaggi per nascondere le loro reali identità. Secondo il regista Antonio Syxty quella figura che pende dall’alto è assimilabile a una sorta di deus-ex-machina che però si limita a osservare senza mai intervenire per risolvere le questioni che appaiono in basso. Mi piace pensare che sia anche una personificazione di un nouveau Marivaux che segue la recita della sua commedia fatta di situazioni e di dialoghi sempre attuali a dispetto dello scorrere del tempo (sono trascorsi quasi trecento anni dalla prima rappresentazione avvenuta alla Comèdie Italienne), ed è pronto a giudicare gli uomini in generale. Rispetto alla sua presenza, in una posizione dominante dovuta all’altezza, i personaggi si muovono sul palcoscenico in un’ambiente coevo dell’epoca fatto di panche e di morbidi tendaggi bianchi quasi trasparenti che scendono dall’alto e che hanno la funzione di quinte, affascinante soluzione, questa, dovuta allo scenografo Guido Buganza esaltata dal notevole disegno luci di Fulvio Melli.

In questa esaltazione del “marivaudage”, termine derivante proprio dalla poetica dello scrittore francese, avviene il gioco della seduzione che travolge persone dalle opposte condizioni sociali: Silvia asseconda il suo inconscio desiderio di trasgredire nel momento in cui si scopre innamorata di Dorante perché creduto servitore. Dorante segue un medesimo inconsapevole impulso e suo malgrado cade in amore verso quella che lui crede essere una cameriera. E lo stesso accade agli altri due personaggi che, recitando ruoli diversi dai propri, sono prima spinti dall’ambizione a elevarsi dal proprio ruolo sociale per trarne beneficio economico e poi rimangono anch’essi intrappolati nell’amore. In realtà quello che induce all’innamoramento le due coppie è proprio la reale condizione sociale che, comunque, diventa percettibile ai reciproci occhi dei quattro man mano che la vicenda procede nel suo corso e nonostante i travestimenti adottati. E non potrebbe essere che così, dati i comportamenti e i modi di esprimersi dei singoli personaggi che è dotto e nobiliare in Silvia e Dorante mentre è ricco di strafalcioni linguistici e atteggiamenti buffoneschi in Arlecchino e Lisetta.

In una fascinosa ricostruzione di scena propria del teatro della prima metà del ‘700 ottenuta con pochi elementi essenziali dove, oltre alla cura dei costumi di Valentina Volpi “contaminati” da alcuni accessori come gli improbabili oggetti portati sopra i cappelli, quello che è degno di sottolineatura è il linguaggio scelto da Syxty che trae forza dalla traduzione del testo affidata a Michele Zaffarano che asseconda la scelta del regista secondo cui “il teatro non può e non deve uniformarsi al quotidiano soprattutto nel caso di un testo del 1730 che è un dispositivo drammaturgico in grado di creare un disegno raffinato intorno a quelli che sono i meccanismi umani che regolano verità e rappresentazione di sé e dei propri sentimenti”. E proprio in questo linguaggio si esprimono i dialoghi dei protagonisti della vicenda, il “marivauder” che indica lo scambio di proposte galanti e raffinate. Quella lingua che Silvia e Dorante usano con naturalezza mentre Arlecchino e Lisetta si sforzano di imitare, scimmiottandola.

Commedia divertente, ricca di colpi di scena, con un finale che, pur essendo prevedibile, non può non esercitare fascino grazie al pregevole apporto delle luci che inquadrano la scena a fermare i personaggi in un’immagine gioiosa. Gli attori, molto affiatati tra loro, rendono al massimo nei ruoli sostenuti: Silvia con i suoi sospiri d’amore non esenti però da una dose di furbizia, Lisetta e Arlecchino che vivono il lato farsesco dell’amore, Dorante che sa indagare sulle varie sottigliezze del sentimento provato. Un’attenzione particolare merita Gaetano Callegaro con la bella e lunga capigliatura argentata, indice di quella saggia maturità necessaria a condurre e risolvere il gioco dei quattro tombé amoureux. Syxty, infine, è riuscito a resistere alla tentazione di far indossare ad Arlecchino i suoi panni tradizionali sostituendoli con quelli di un comune servitore egregiamente portati da un pirotecnico Filippo Renda, mai così a suo agio come in questa occasione.

Grandi consensi con ripetute chiamate la sera della prima in un teatro sold out. Repliche fino al 13 luglio. In calce le info per prenotare e acquistare i biglietti.

Vista il giorno 24 giugno 2024

(Carlo Tomeo)

MTM Teatro Litta – dal 24 giugno al 13 luglio 2024

Il gioco dell’amore e del casoDebutto Nazionale

di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux

nuova traduzione di Michele Zaffarano

adattamento e regia Antonio Syxty

con Gaetano Callegaro, Francesca Massari, Francesco Martucci, Jasmine Monti, Filippo Renda

regista assistente Filippo Renda

scene Guido Buganza

costumi Valentina Volpi

disegno luci Fulvio Melli

staff tecnico Ahmad Shalabi, Stefano Lattanzio

delegate di produzione Lisa Metelli, Sofia Tieri

produzione Manifatture Teatrali Milanesi

Teatro Litta

lunedì/sabato ore 20.30

intero € 30,00 – convenzioni € 24,00 – ridotto Arcobaleno (per chi porta in cassa un oggetto arcobaleno) € 24,00 – Under 30 e Over 65 € 17,00 – Università € 17,00 – scuole di Teatro € 19,00 – scuole civiche Fondazione Milano, Piccolo Teatro, La Scala e Filodrammatici € 11,00 – Scuole MTM € 10,00 – ridotto DVA € 15,00 tagliando Esselunga di colore ROSSO

Invito a Teatro – Manifatture Teatrali Milanesi

Info e prenotazioni biglietteria@mtmteatro.it – 02.86.45.45.45

Biglietti sono acquistabili sul sito www.mtmteatro.it e sul sito e punti vendita vivaticket.it. I biglietti prenotati vanno ritirati nei giorni precedenti negli orari di prevendita e la domenica a partire da un’ora prima dell’inizio dello spettacolo.

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